Mi mancano i Giochi della Gioventù. Non quelli competitivi delle medie, ma quelli rilassati delle elementari.
Le maestre ne parlavano per giorni. Ti facevano scrivere L’Avviso sul diario, da far leggere alla mamma, con l’autorizzazione da firmare e le indicazioni, caso mai uno avesse dei genitori sprovveduti: far indossare a suo figlio maglietta, pantaloncini e scarpe da ginnastica; mettere nello zainetto anche La Finlandese (ovvero la tuta), un panino e una bevanda.
Arrivava la mattina e si partiva sul pulmino giallo con la scritta del comune su un lato. I sedili di pelle che ti si attaccavano alle braccia. La maestra che continuava a raccomandarsi di questo o di quello per tutto il viaggio, mentre c’era sempre quello che già mangiava: pane e mortadella e succo di frutta, pane e Spuntì per i più fighetti.
Poi arrivavi e vedevi quelli delle altre scuole: altri pulmini, altri dialetti (bastava essere nati dall’altra parte del fiume per parlare un dialetto completamente diverso). C’era sempre qualcuno più grosso di te. C’era sempre qualcuno che piangeva.
Quando avevi finito con i Giochi ti sedevi sulle gradinate, sotto il sole, a scambiare con gli amici uno dei gadget fluo che ti regalavano lì: un portamonete da polso con l’allacciatura in velcro, o una fascia elastica alla Björn Borg.
Il mondo iniziava e finiva lì.
Certo, avessi avuto all’epoca un Timex 80 azzurro al polso, sarebbe stata tutta un’altra cosa…