Nato nel 1986 in un sobborgo di Damasco, Waref Abu Quba lasciò la Siria nel 2011, all’inizio di quella terribile guerra civile che avrebbe poi insanguinato il paese. Con una laurea in graphic design in tasca, conseguita presso l’Università di Damasco, e quasi un lustro di esperienza come filmmaker e animatore, girò a lungo in cerca di un posto da poter chiamare casa. Dopo tre anni, passati prima negli Emirati Arabi e poi in Giordania, una volta riuscito a ottenere tutti i documenti necessari, nel 2014 si trasferì in Germania, dove vive da allora, e dove è riuscito a costruirsi una carriera come pluripremiato autore di cortometraggi e animazioni, tra progetti personali (due su tutti: In Damascus e Four Acts for Syria, acclamati a livello globale) e commerciali.
Nel 2021 Abu Quba è andato in viaggio a Istanbul, restando affascinato da quella stratificazione di stili, tecniche, figure e simboli che ha attraversato i millenni e che rende unica la metropoli turca, con la sua mescolanza di arte e architettura greca, bizantina, islamica e ottomana.
Durante la sua permanenza lì, Abu Quba ha scattato migliaia di foto alle meravigliose decorazioni scovate in giro per la città: soffitti, pareti, pavimenti, arredi, mura interne ed esterne degli edifici, tra enormi composizioni o piccoli dettagli, frutto della maestria e del sapere artigiano di popoli e culture assai differenti tra loro.
Una volta tornato in Germania, ha iniziato a lavorare su un cortometraggio che potesse in qualche modo riassumere ed esaltare tutta quella bellezza.
Negli ultimi due anni la maggior parte del suo tempo libro l’ha passata su questo progetto, e la “chiave” narrativa l’ha trovata nella ripetizione — Takrar, che è il titolo dell’opera, significa proprio questo — tra ipnotici pattern che si animano gli uni dopo gli altri, accompagnati da una bella colonna sonora (a cura di Alex Story, con percussioni di Robbe Kieckens).
