Nella fine è il mio principio.
Le copertine (fronte e retro) del catalogo dell’esposizione appena inaugurata alla Fondation Beyeler di Riehen / Basel, dedicata a Piet Mondrian ritraggono il volto dell’artista olandese colto nelle diverse stagioni della vita: giovinezza e vecchiaia. Le ha scelte Irma Boom, una delle più note graphic designer del mondo, la più giovane ad aver ricevuto il Gutenberg Prize per il suo approccio creativo nel “fabbricare libri”, a cui è stato affidato il catalogo dell’esposizione Mondrian Evolution. Una scelta non casuale che invita a osservare le 89 opere provenienti da collezioni pubbliche e private europee e americane come avrebbe voluto Mondrian, sentendo le sue parole risuonare nel cuore e nella mente: «Per me non c’è differenza tra i primi e gli ultimi lavori: fanno tutti parte della stessa cosa. Non sento la distanza tra il vecchio e il nuovo nell’arte come tale, ma come continuità».
Il percorso espositivo, curato da Sam Keller e Ulf Küster, in occasione dei 150 anni della nascita dell’artista, segue il cammino del pittore dagli esordi negli anni ’90 dell’Ottocento come creatore di paesaggi fino all’approdo all’astrazione geometrica, per la quale è celebre, con De Stijl e il Neoplasticismo tra anni ’20 e ’30 del Novecento. E l’evoluzione a cui fa riferimento il titolo della mostra non è — come scrive Ulf Küster — da intendere in senso darwiniano e finalistico, bensì da interpretare come «un accumulo di nuove esperienze che conducono a un nuovo livello di sviluppo artistico, e di conseguenza a una comprensione più profonda».
La sua arte ha accolto nutrimenti diversi provenienti dal primo Romanticismo, dalla filosofia schopenauriana, dal pensiero mistico e orientale e dall’enciclopedia teosofica ed è un cammino che mostra il processo di scomposizione e ricomposizione della realtà affinato negli anni con rigore quasi matematico, in una costante tensione di ricerca di equilibrio e perfezione, di forma e cromia. Lo capiamo mentre rivolgiamo lo sguardo alle opere esposte nelle nove sezioni della mostra che sovente accosta i primi paesaggi alle creazioni astratte più tarde; come la Composizione n. 2 del 1913 e la serie di quadri dedicati alla Fattoria nei pressi di Duivendrecht (soprattutto quella del 1916) i cui alberi mostrano una chioma che è un pattern di ispirazione cubista capace di intrappolare l’occhio dello spettatore. I suoi alberi (Alberi sul Gein con la luna che sorge, 1907), i suoi mulini (Mulino al tramonto,1908), le sue dune (Estate, dune in Zeeland, 1910), pur risentendo dell’eco lontano della Scuola dell’Aia, rivelano quella scintilla di originalità che lo condurrà a percorrere strade inedite alla ricerca di una spiritualità intensa e profonda. Una spiritualità che Mondrian, dopo avere abbracciato le istanze di Rudolf Steiner, cerca di rappresentare tramite linee orizzontali (il femminile) e verticali (il maschile), abbandonando progressivamente le linee curve per esprimere un’armonia e una purezza di proporzioni che avrebbe in seguito portato alle sue composizioni astratte di piani e linee.
A completamento della mostra la Fondation Beyeler, che quest’anno celebra il suo 25º anniversario, proietta Piet & Mondrian, un cortometraggio di Lars Kraume, uno dei più significativi registi tedeschi. Base di partenza per la pellicola è il saggio di Piet Mondrian del 1919/20 in forma di dialogo Realtà naturale e realtà astratta, in cui il pittore raccolse le sue riflessioni e il suo pensiero sull’astrazione nell’arte insegnando che «l’arte nuova ci insegna come vedere la realtà chiaramente così com’è e non l’apparenza della realtà quale noi la vediamo, né della vita che viviamo, ma è l’espressione ella vera realtà e della vera vita».