Quando si smette di fare qualcosa si usa l’espressione “appendere al chiodo…” seguita dal simbolo della propria attività: appendere i guantoni al chiodo (i pugili), le scarpette (i calciatori), il pennello (i pittori) — la storia che c’è dietro (ché le storie alla base dei modi di dire sono quasi sempre interessanti e vale la pena conoscerle) a quanto pare arriva addirittura all’antica Roma. Dal dizionario Hoepli: «il detto risale a un’usanza seguita dagli antichi gladiatori, che quando venivano liberati dedicavano le loro armi al Dio Ercole e le appendevano alle pareti del tempio a lui dedicato».
Oggi al chiodo ci stiamo attaccati noi — si spera temporaneamente — dato che per ovvie ragioni abbiamo rinunciato a molte delle abitudini e delle occupazioni che ci definivano.
«Tacai a’n ciòdo — attaccàti a un chiodo, in veneto — descrive come siamo messi tutti quanti in questa pandemia e descrive allo stesso tempo cosa fare con le nostre illustrazioni» spiegano Anna Fietta e Benedetta Claudia Vialli le due illustratrici che lo scorso 17 aprile hanno lanciato l’omonima iniziativa, chiamando a raccolta le loro colleghi e i loro colleghi del territorio per raccoglie fondi in favore della Croce Rossa del Veneto.
Hanno partecipato in molti: Eliana Albertini, Claudio Bandoli, Davide Barco, Dario Bellinato, Michele Bruttomesso, Sara Chissalé, Irene Di Oriente, Paolo Gallina, Eleonora Lorenzon, Rossana Magoga, Chiara Mantello, Marta Mazzucato, Nadia Pillon, Silvia Reginato, Francesca Rizzato, Francesca Rosafio, Jacopo Rosati, Veronica Ruffato, Miriam Serafin, Studio Saòr, Luisa Tosetto e Beatrice Zampetti. Tutti hanno offerto alcuni dei propri lavori in forma di poster — da attaccare, appunto, al chiodo — che potranno essere acquistati online fino al 1° maggio.