In un bellissimo saggio di Oliver Sacks su Charles Darwin, apparso nella raccolta postuma Il fiume della coscienza, spicca una singolare dichiarazione d’amore del naturalista nei confronti della Drosera — una pianta carnivora che cresce tra Australia, Africa e Sud America —, dall’aspetto variopinto e vagamente minaccioso. Di lei Darwin scriveva:
«[…] è una pianta meravigliosa, o piuttosto dovrei dire un animale quanto mai sagace. La difenderò fino al giorno della mia morte».
In quella lettera il biologo britannico contestava le osservazioni del suo amico e collega Asa Gray, convinto che le piante non provassero sentimenti, né potessero dunque dirsi dotate di apparati cerebrali e digestivi come gli animali. Da questo interessante dibattito scientifico e letterario molte cose sono cambiate. Oggi non solo sappiamo con certezza che le piante hanno un’importanza più che cruciale all’interno del nostro ecosistema; ma anche che sono del tutto in grado di pensare. Da milioni di anni gli organismi vegetali continuano a sviluppare nuovi e complessi sistemi di adattamento e riproduzione, cercando di stare al passo con le obbligatorie evoluzioni cui li abbiamo costretti, non sempre con delicatezza.
Il giro del mondo in 80 alberi, pubblicato da L’ippocampo, è un libro raffinato a metà tra il manuale, il testo scientifico e la narrativa, in cui si riflette su questo aspetto e in cui si parla di botanica, attraverso l’elencazione di alcuni alberi che popolano il nostro pianeta, scelti tra i più preziosi, strani o famosi. L’autore, Jonathan Drori, è stato per quasi dieci anni amministratore fiduciario del Royal Botanic Garden di Kew, e oggi è ambasciatore del WWF e co-fondatore della Thoughtsmith Ltd, una società di consulenza che sviluppa strategie di sensibilizzazione e impegno pubblico, tecnologia digitale, istruzione, media, ingegneria, scienza e cultura.
Nel suo libro – illustrato dalla superba disegnatrice francese Lucille Clerc –, Drori mappa alberi e piante secondo le loro caratteristiche morfologiche principali (longevità, altezza, metodi di riproduzione), e li racconta attraverso gli usi che se ne sono fatti nel tempo grazie alle loro proprietà medicinali o ornamentali, ricordandone anche l’importanza come elementi di aggregazione sociale. Così scopriamo che oltre a proteggere dal malocchio e dalla stregoneria, le betulle sono state impiegate per secoli per la produzione di chewingum, o che gran parte dei palazzi veneziani è tutt’oggi costituita in larga parte da legno di ontano.
Sotto gli alberi si è vissuto e pregato: ancora oggi in India le donne in cerca di fertilità intrecciano corde intorno al tronco del pipal, una particolare varietà di fico, esprimendo devozione alla dea Lakshmi; e lo yaupon era usato come bevanda dalle tribù indigene degli Stati Uniti che organizzavano veri e propri baccanali consumando infusi di questo particolare tipo di agrifoglio.
Se si pensa a un albero particolarmente resistente non si potrà che nominare il platano (che quando si incrocia diventa tanto forte da sopportare lo smog); oppure l’acacia, che è in grado di diventare più forte e resistente se sottoposta ad attacchi frequenti. I cipressi londinesi in passato sono stati responsabili di vere e proprie «risse per la luce perduta», a causa del loro largo impiego nei sobborghi, dove le staccionate per proteggersi dagli sguardi dei vicini erano vietate al di sopra dei due metri, e per questo la gente era costretta a ricorrere a rimedi più naturali.
Nel Medioevo molti processi si svolgevano sotto i tigli, poiché era credenza comune che sotto questi alberi la gente fosse indotta a dire la verità. Della mora, Shakespeare scriveva: «Non regge ad esser toccata» – e infatti era prevista la pena di morte per chiunque contrabbandasse bachi da seta o semi di gelso. Masticare semi della palma di Betel sembrerebbe aver portato a scurire i denti: una caratteristica che non solo ha creato nuovi curiosi canoni di bellezza, ma ha anche incoraggiato la progettazione di dentiere nere. E infine, la Dracena, se incisa, produce gocce di resina di colore rosso chiamato «sangue di drago», che nel Seicento aveva proprietà curative e veniva impiegato nei filtri d’amore.
Ma Il giro del mondo in 80 alberi è anche e soprattutto un inno all’ecologia, in cui si indagano vari aspetti di criticità ambientale. E non a caso la parola «colonizzazione» ricorre spesso, nel libro, che stimola una riflessione sui cambiamenti del nostro ecosistema sempre più minacciato dallo sfruttamento massivo, e sui possibili interventi di preservazione di tutte le specie vegetali da cui dipende la salute del pianeta. Questo libro intelligente e prezioso ci ricorda la vastità della bellezza che ci circonda, incoraggiandoci a difenderla e proteggerla, nelle sue affascinanti e spesso sconosciute, stupefacenti diversità.