Nel suo Trattato di Architettura, composto tra il 1460 e il 1464, il fiorentino Antonio di Pietro Averlino, detto il Filarete (al quale alcuni attribuiscono il celebre e misterioso Manoscritto Voynich) paragona le opere d’architettura a degli esseri viventi:
Tu potresti dire: lo edificio non si amala e non muore come l’uomo. Io ti dico che così fa proprio l’edifìcio: lui s’amala quando non mangia, cioè quando non è mantenuto, e viene scadendo a poco a poco, come fa proprio l’uomo quando sta sanza cibo, poi si casca morto.
Portando la metafora a un livello più… zoologico il grafico, illustratore e architetto Francesco Babina ha provato a immaginare le piante di alcuni edifici come se questi prendessero le sembianze di mammiferi, uccelli, rettili, uccelli.
Come sarebbe lavorare o abitare dentro a un cavallo? O, meglio ancora, muoversi in spazi pubblici dall’aspetto di volpi, balene, tartarughe, leoni?
Sono in tutto 25 le planivolumetrie animali disegnate da Babina nella sua serie Planimal.