Chi ancora non conosce la varietà e vastità del lavoro di Fabian Negrin è invitato a farlo.
Come ebbe ad affermare Andrea Rauch: «ormai non dovremmo più sorprenderci che Fabian Negrin, ogni anno, a volte anche più spesso, ci regali una perla della sua straordinaria sensibilità».
Argentino di nascita, classe 1963, la sua carriera si articola in anni di esperienza nel settore dell’illustrazione e della letteratura per l’infanzia. Con risultati eccelsi, premi tributatigli, e collaborazioni con case editrici e clienti italiani e internazionali.
Stretto è da tempo il suo sodalizio con la casa editrice Orecchio Acerbo, per la quale ha curato una collana, Pulci nell’orecchio, che consta come tutto il catalogo editoriale di pubblicazioni bellissime.
Quando si possiede la grazia narrativa e visiva di Negrin non si ha paura di confrontarsi con nuove e vecchie forme di linguaggio e di espressione. E anche la trama che fila il racconto può provenire da un mondo in apparenza lontano, ma vicino a quello delle fiabe, com’è la mitologia.
Sto parlando di C’era una volta un cacciatore, una delle ultime uscite proprio per Orecchio Acerbo.
Qui, l’episodio di Atteone ed echi dalle fiabe del mondo antico (Fedro su tutti) divengono uno spunto per l’illustratore argentino che ci regala una storia d’amore e metamorfosi di sentimenti prima che di sembianze. E nello stesso tempo ci dona la magia di poter tenere fra le mani un drappeggio o un quadro rinascimentale. La grana è quella della stoffa che cede per la pesantezza del tempo e del tessuto o delle pennellate osservate da una distanza ravvicinata.
La sensazione è quella di sfogliare qualcosa di estremamente prezioso e delicato.
Dove vai tu, cacciatore?
Cerchi guai o cerchi amore?
Cacciatore, dove vai?
Se muori lo saprai.
Di certo quel mattino il cacciatore non aveva alcuna idea che specchiandosi in quel ruscello avrebbe visto se stesso tramutarsi in cervo e avrebbe incontrato la cerva colpita tramutatasi in fanciulla a fare il bagno poco distante sulla riva del medesimo fiume.
Quanto possono gli occhi come specchio dell’anima e veicolo d’amore. Si è in grado di riconoscersi anche se si hanno sembianze distanti, persino se si appartiene a mondi diversi. Bere alla stessa fonte, diviene, allora, simbolicamente parlare la stessa lingua, quella dei sentimenti e del cuore.
E seguire il proprio cuore significa mutare aspetto, caratteri somatici, apparire. Farsi persona nuova, senza paura di lasciarsi dietro molto. Se non una faretra e delle frecce, che dell’amore sono antitesi e ossimoro.
Negrin con questo libro si fa fenomenologo dell’amore, descrivendo un sentimento attraverso la magnificenza delle sue tavole, delineando quelle palpebre così simili, tagliate a goccia e contenenti la stessa pietra grezza, pronta a rifrangere la forme della persona amata.
Una bellissima favola sull’amore e sulla sua forza, sulla bellezza e la fragilità delle nostre difese.
Cerva, cerva
tu cambi se ti si osserva.
Chi sei tu? Chi sono io?
Sei della foresta un dio?
Scocco una freccia nell’aria
ma sei preda immaginaria
e dall’arco delle tue corna
la saetta mi ritorna.
Sono l’animale ferito o un cacciatore pentito?
D’acqua e di luna sembri fatta
Tu sei donna o cerbiatta?
Lo specchio dell’amore muta.
Mi mostra una figura irsuta.
Sono un uomo o un animale?
Posso vivere al plurale?
Cerva, cerva
nessuna forma si conserva.