Ci sono voluti sei anni perché La mia nave di Roberto Innocenti, edito da Margherita Edizioni, approdasse fino a noi.
Sono stati anni di ricerche e di studi, anni di lavoro per donarci una storia che proviene dalla grande letteratura di viaggio. E con essa si porta dietro l’eco di Stevenson, Conrad, Melville, London. Al centro dei loro romanzi grandi navi mercantili e la vita che vi si svolgeva, ora lenta ora febbrile, secondo i desideri volubili della natura.
D’altra parte un altro libro di Innocenti — elaborato insieme a J. Patrick Lewis — ci aveva già abituato ad un gioco di rimandi letterari. Sto parlando del capolavoro L’ultima spiaggia (sempre Margherita Edizioni). Qui, in un misterioso albergo, si muovono figure uscite dal mondo della letteratura (fra le quali proprio Mody Dick e il Capitano Achab) e del cinema, a comporre tutte insieme una narrazione stratificata, complessa eppure semplicissima. Una storia capace di affascinare adulti e bambini a seconda della chiave di lettura di volta in volta applicata, ma sempre — e qui risiede la preziosità dello scrivere per l’infanzia — votata a suscitare curiosità, ad aprire spazi infiniti di richiami e legami, inconfondibili cenni e sottili segnali.
In La mia nave, Innocenti ci porta invece a bordo di una nave cargo (e non potrebbe essere altrimenti dati i riferimenti ideali), al seguito del suo protagonista, offrendoci uno sguardo su un tipo di navigazione che ha da sempre affascinato i viaggiatori più avventurosi. Per quel suo modo tutto diverso di vivere il mare, di esporsi ai suoi cicli e ai suoi ritmi, respirandone il profumo, persino quello di tempesta prossima ad arrivare, per le sere stellate sdraiati supini sul ponte a liberare pensieri, per la fatica e il pericolo e la gioia di aver raggiunto un nuovo porto, sani e salvi.
La mia nave è a tutti gli effetti la storia di una nave, “Clementine”, narrata dal suo capitano. Una storia che si protrae per 50 anni, a partire dagli anni ’30, quando venne costruita e varata. Anni di viaggi attorno al mondo, per toccare terre lontanissime, attraversando continenti ed insieme il secondo conflitto mondiale.
Non si può definirlo un diario di bordo, perché diario di bordo non è. È narrazione cadenzata di due vite legate insieme da un richiamo che non può rimanere inascoltato: quello del mare.
È da un commiato che apprendiamo del sodalizio fra il capitano e la sua “vecchia amica”. La nave si sta inabissando ed è giunto il momento di ripercorrere l’esistenza trascorsa insieme a partire da una giovinezza che è stata sogno, libertà e casa. Rivivere i ricordi è come dire addio, lasciare andare, chiudere una fase della propria vita che è anche la vita di “Clementine”.
La storia è tratteggiata finemente dal tocco preciso e affilato di Innocenti che ci trasporta visivamente sul ponte dell’imbarcazione, a farci percepire il frangersi delle onde, lo stridio dei gabbiani, la fatica del viaggio. La mia nave finisce per rivelarsi come il crepuscolare scintillio di “Clementine” che ora riposa sul fondo del mare.