Grigio. Livido. Il mondo che ci appare di fronte ha reso grigie anche le persone che lo popolano. Non hanno sorrisi. Ognuna cammina per conto proprio stagliata su di un bianco che quasi fa stringere gli occhi. E tu, bambino, che ci fai cristallizzato in mezzo a tutto questo grigiore? Perché non corri, salti, canti, giochi?
Eppure in quel piatto monocolore c’è qualcosa che si muove. È un moscerino. Seguilo! Vedi dove vuole condurti!
Inizia così l’ultimo albo pubblicato da Orecchio Acerbo, La porta, opera della bravissima autrice coreana Ji Hyeon Lee, pluripremiata per La piscina (sempre edito Orecchio Acerbo).
Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un silent book, e anche in questo caso ci sentiamo chiamati a colmare quello che non viene espresso a parole, ma rimane sospeso perché possa trovare in noi una lettura e un’interpretazione, stimolando l’immaginazione e la capacità di stabilire rimandi e richiami.
E allora procediamo nella storia e seguiamo il bambino fino ad una porta coperta di ragnatele, grigia anch’essa, ma che è in grado di spalancare una realtà fatta di colori e personaggi che parlano un’altra lingua, ma con i quali ci si può capire, con i quali fare subito amicizia e condividere il proprio tempo.
E poi, sorpresa. Ci sono altre porte, e altre persone. E anch’esse hanno voglia di conoscerti, bambino, e di stare con te. E anche se tornerai nel tuo mondo tetro e grigio, ricordati che in tasca conservi la chiave per aprire quando desideri realtà che ti stanno aspettando.
Un albo che parla di quanto spesso ci faccia paura il diverso, di quanto si rimanga chiusi e ripiegati su se stessi al di là di barriere rassicuranti anche se ristrette e limitanti, piuttosto che andare incontro alla ricchezza del reale e a quello che proviene da lontano. E di quanto potenziale ci sia nell’essere bambino, di quanto ancora acerba, genuina e amorevole sia questa apertura libera e senza difese.
Un albo che mai come in questi tempi di diffidenze inculcate o inconsce si dimostra prezioso.