Torna dopo 40 anni nelle librerie un libro che 40 anni non li dimostra affatto. Si tratta di Un giorno della vita di Dorotea Sgrunf di Tatjana Hauptmann, ripubblicato dalla casa editrice LupoGuido (la prima a editarlo fu nel 1978 la Emme Edizioni di Rosellina Archinto, e Dorotea Sgrunf allora si trasformò in Cecilia Lardò).
In così tanti anni non ha perso un grammo del suo fascino, nonostante si tratti di un albo senza parole. Nello specifico, il libro descrive con minuzia di particolari la vita di Dorotea, madre single, e del suo piccolo, un porcellino monello che colpisce gli ospiti con la cerbottana, riempie il water di schiuma da bagno e fa capriole sul letto.
Una porta socchiusa ci introduce nella casa abitata dai due. Fustelle anticipano azioni che appartengono alla vita comune, familiare, e nella quale possiamo facilmente riconoscerci.
C’è da aspettarsi che proprio questo sia uno dei motivi che hanno segnato il successo di un libro estremamente semplice, ma allo stesso tempo ricco di spunti e di rimandi.
Attorno ad ogni tavola di grande formato un bambino, da solo o stimolato da un adulto, può costruire un mondo di significati, porsi una miriade di domande, trovare una marea di risposte — quale sarà l’occasione speciale per la quale Dorotea sta preparando una torta e ha invitato i suoi ospiti? Chi è il porcello rimasto ad attendere fuori dall’abitazione? A che ora andranno a dormire Dorotea e il piccolo? Quale favola gli racconterà Dorotea prima di addormentarsi? — oppure rimanere semplicemente ad osservare lo scorrere della loro vita nei ricchi disegni pastello della Hauptmann. E provare ugualmente uno spettro vastissimo di sensazioni e di possibilità di immedesimazione.
Questo libro, finalista al Premio Andersen 2018 come “Miglior libro mai premiato”, rimane a distanza di tempo un gioiello inesauribile e prezioso per i suoi lettori, piccoli e grandi.