E se un giorno un punto — di punto in bianco — fosse stufo di concludere inevitabilmente ogni frase e volesse essere, chessò, un’opera d’arte o, magari, una linea retta? Cosa accadrebbe se cominciasse a interrogarsi sulla sua natura e sul suo destino?
Ce lo raccontano ne Il libro di Dot — pubblicato per i tipi di ReNoir Comics e presentato all’ultima edizione del Festival Lucca Comics and Games — Hisham Matar, vincitore del Premio Pulitzer 2017 per Il ritorno. Padri, figli e la terra fra di loro, e Gianluca Buttolo, autore di La scelta – Giorgio Ambrosoli (sempre ReNoir Comics).
Ne Il libro di Dot, il desiderio del protagonista di trascendere i propri angusti limiti grammaticali lo spingerà ad una fuga nel mondo, che in un primo momento lo troverà sperduto e spaurito, lontano dal suo ambiente familiare fatto di lettere, righe e paragrafi.
Eppure, nonostante le difficoltà iniziali, Dot non riuscirà a mettere da parte la volontà di comprendere se stesso.
La sua frenesia conoscitiva lo porterà ad assumere prima la forma di un albero poi quella della luna ed infine quella di un palloncino. E da questi luoghi di osservazione privilegiati, egli sarà in grado di fare la scoperta più importante: ovvero che l’intera realtà è formata da piccoli punti e che tutto è più simile a lui di quanto pensasse. La luce, la pioggia, i granelli di sabbia, persino le stelle.
Particolare da annotare: Dot non è mai solo. Fin dall’inizio, una bambina lo osserva da vicino, con la delicata presenza di chi rispetta i tempi di una consapevolezza conquistata senza interferenze, un passo alla volta. Vero e proprio “contrappunto” (è il caso di dirlo) solidale, che lo accompagna e partecipa silente, non senza entusiasmo, dei suoi dubbi, delle sue incertezze, delle sue scoperte. Proprio come noi lettori (e come bisognerebbe fare con chiunque stia cercando la propria strada).
E non possono che strapparci entrambi un sorriso, a fine storia, seduti di spalle uno accanto all’altra su una panchina, di fronte alla città illuminata, felici e ormai pacificati. Piccolo richiamo, forse, al celebre fotogramma di Manhattan di Woody Allen.