Ho trovato le opere di Sarah Meyohas al termine di un processo di ricerca, volto ad esplorare due ambiti tra loro apparentemente inconciliabili: arte e finanza.
L’uno animato da spiriti liberi, creativi, ardenti di passione, l’altro governato da ingessati automi a caccia di profitto e denaro a scapito di ogni altro valore.
Ma davvero questi due universi non sono mai venuti in contatto tra loro? Ho iniziato allora a fare qualche ricerca e devo dire che inizialmente stavo per darmi per vinto. A parte timidi scarabocchi su qualche blog abbandonato dal 2002, e la “solita” pletora di arte frattale generata probabilmente per sbaglio da qualche studente di matematica, non mi pareva di trovare nulla di progettuale. Almeno fino a che non mi sono imbattuto in Sarah Meyohas.

Venticinque anni, una residenza a New York (trasformata in galleria d’arte permanente, per esporre e circondarsi degli artisti che più ama ed offrire loro una vetrina di facile accesso), una laurea in finanza alla Wharton ed un Master in Fine Arts a Yale (“se la carriera di artista mi fosse andata male, avrei almeno avuto un piano B”, racconta in una delle sue interviste), fin da subito Sarah ha lavorato per minare e smantellare il solido confine esistente tra il mondo dell’arte e quello della grande finanza.
In particolare mi sono soffermato su due progetti che penso siano interessanti, non tanto per il valore intrinseco delle opere (sulle cui quotazioni tornerò comunque più tardi) ma per l’approccio realmente multidisciplinare e, sì, creativo.
In BitchCoin (2015) (vabbeh… questo merita già solo per il nome), Sarah ha creato una nuova valuta, il cui valore è stato definito pari a 25 pollici di una qualsiasi stampa di Sarah Meyohas. Essendo il tasso di conversione fisso, auspicando nell’apprezzamento delle sue opere durante gli anni a venire, l’artista invoglia ad acquistare questa valuta come un vero e proprio investimento monetario, ottenendone d’altra parte un finanziamento immediato. Piuttosto geniale no?
Le opere create nel contesto della campagna (una via di mezzo tra un’installazione ed un crowfunding) proseguivano nel filone provocatorio già tracciato dal nome del progetto (qui sotto un esempio).

© Sarah Meyohas
Purtroppo non è dato sapere quale sia stato il successo dell’iniziativa, ma tanto le è bastato per finire su Vice, NY Times, Wired, solo per citare alcune tra le maggiori testate che hanno parlato di lei in quest’occasione.
In ogni caso successivamente Sarah si è cimentata con un nuovo progetto-installazione: Stock Performances (2016).
Per un mese, all’interno della 303 Gallery, a New York, l’artista si è dedicata, da una postazione ricavata direttamente all’interno della galleria, alla compravendita di titoli azionari quotati sul New York Stock Exchange, senza seguire alcuna logica economica-finanziaria (“in qualità di artista sono abituata a perdere soldi”, ha affermato), ma soltanto con lo scopo di generare pattern grafici interessanti visivamente, da riprodurre poi su tela con un pastello ad olio.

© Sarah Meyohas
Anche i titoli azionari oggetto dell’operazione sono stati scelti con criteri non ortodossi: in base al nome, o semplicemente perché “sembrava non li stesse comprando nessuno”.
In particolare, il progetto voleva essere destabilizzante per chi, uso alle operazioni di borsa, non riuscisse a trovare la ratio sottostante tale modo di operare, e nello stesso tempo rendere materiale un sistema prettamente intangibile, dove enormi capitali sono scambiati telematicamente nell’arco di pochi millesimi di secondo.

© Sarah Meyohas
Anche in questo caso ho difficoltà a valutare la bontà intrinseca delle opere (mi chiedo poi se sia possibile reciderle dal contesto in cui sono state create? Probabilmente se possedessi un’opera del genere dovrei perdere mezz’ora per spiegarne la genesi a tutti i miei ospiti), ma dopo qualche ricerca ho avuto conferma che tutte le tele siano state vendute. Il prezzo unitario era di diecimila dollari.
Insomma è riuscita Sarah a creare un varco tra l’algido mondo dominato da Excel e da noiose tabelle zeppe di numeri e l’universo dei creativi? Pensateci su.
Concludo con una massima dell’abusato Albert Einstein che mi pare appropriata:
“Creativity is intelligence having fun”.

© Sarah Meyohas