Messaggi a fidanzate, omaggi ad amici scomparsi, dediche ad altri campione del passato o del presente, celebrazioni di risultati raggiunti, ironici nonsense, più o meno velati avvertimenti a tifoserie, giornalisti e detrattori, talvolta persino “coming out” politici o religiosi, come l’I belong to Jesus esibito da Kaká che dà il titolo a questo libro (nonché al font utilizzato).
Soprattutto a partire dagli anni ’90, i calciatori hanno utilizzato l’enorme palcoscenico degli stadi e delle telecamere puntate addosso in ogni momento per “parlare” attraverso le t-shirt indossate sotto alle divise della propria squadra, comportamento che a partire dal 1° giugno del 2014 è stato vietato dalla Fifa ma che fino ad allora ha avuto ampio risalto nella narrazione dei media attorno al mondo del pallone (dal supporto del Liverpool del ’97 nei confronti dei portuali della loro città al Boia chi molla di Buffon; dal V’ho purgato ancora di Totti esibito contro la Lazio nel derby del ’99 al celeberrimo Why always me? di Balotelli o al commovente That’s for you son del giocatore dello Sheffield Billy Sharp, dedicato a suo figlio morto due giorni prima).

Due designer inglesi con la passione per il calcio, Craig Oldham e Rick Banks, hanno deciso di dedicare un intero libro a questa “moda” delle magliette con gli slogan, spulciando immagini, raccogliendo storie e mettendo tutto assieme in un bel volume in edizione limitata pubblicato a luglio.
Intitolato appunto I belong to Jesus, è diviso in quattro sezioni — tante quante le motivazioni che stanno dietro agli slogan: politiche, religiose, di folklore o personali — e si può acquistare online, accompagnato (ovviamente!) da una t-shirt.







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