Un attimo prima di iniziare a leggere il racconto di Sandro Gaeta relativo alla sua SS16 faccio partire casualmente i brani di una mia playlist su Spotify e, non mi sarebbe potuto capitare pezzo migliore, inizia The Swimmer di Phil France.
Immagino un’isola dormiente, la luce debole del sole che vedrà spiagge affollarsi e bambini creare e distruggere castelli di sabbia qualche ora dopo, costumi interi e cappelli di paglia, barche lucenti che prendono il largo, il profumo delle creme solari e degli spray per proteggere i capelli dal sale ma, fino a quel momento, il silenzio del mattino che apre gli occhi.
Vedo un ragazzo che non riesce a dormire e guarda dalla finestra l’isola in cui è cresciuto e scorge tra le piccole onde quasi impercettibili un uomo che nuota ed è l’unica cosa che il mare abbraccia in quel momento. Esce dall’acqua, si siede per riprendere fiato e si fa asciugare dal calore flebile di quel giorno di luglio. Poi indossa velocemente una candida camicia con piccoli motivi geometrici. Quadrati, pensa il ragazzo alla finestra. Protezione, tetto e nucleo.
L’uomo, il nuotatore, passeggia e saluta i pescatori, guarda una donna che sulla porta di casa, in ciabatte, si stiracchia, la cui trama dell’abito-vestaglia che indossa ricorda le tende fatte di reti sparse per i vicoli del paese. Mangia un pezzo di pane caldo, pensa a lei, alle sue camicie dalle geometrie gigantesche, al suo modo di coprirsi le spalle con foulard di seta le cui pennellate grossolane creano rami colorati e ai suoi occhi grandi pieni di stupore quando, quel giorno, la portò a vedere la Grotta del Genovese e, ridendo, gli disse che aveva capito il rebus disegnato sulla sua camicia.
Proprio quella sera, rincorrendosi tra le strette vie del piccolo centro, lei gli disse che si sentiva come i fili della blusa che indossava: intricata, coloratissima e, grazie a lui, a casa. Sperduta in mezzo al mare, ma a casa.