Tesori d’archivio: vecchie bustine di figurine

Nel Modenese, l’azienda Panini poteva in origine contare sul lavoro di centinaia di famiglie a ciascuna delle quali veniva affidato un “torchio” chiudibusta di uso domestico

Senza andare a disturbare la storia del disegno industriale e della pubblicità, è intuibile come nell’età dei consumi la storia dei contenitori vada a braccetto con quella dei contenuti. Se poi si tratta del mondo magico delle figurine, il discorso si fa specifico.

Le bustine fin dall’inizio hanno rappresentato il fragile involucro a protezione e celamento non soltanto di quella cinquina di foglietti adesivi, tecnicamente parlando, ma in primis dell’essenza stessa dello spirito ludico-collezionistico: l’aleatoria speranza di veder comparire il pezzo desiderato, o almeno ciò che avrebbe permesso di raggiungerlo attraverso qualche scambio.

Dalla loro comparsa a oggi le bustine hanno cambiato forme e colori, legando la propria evoluzione all’automatizzazione dei sistemi di miscelazione delle figurine (per evitare la presenza di doppioni nella stessa busta) e di confezionamento.
Nel Modenese, l’azienda Panini poteva in origine contare sul lavoro di centinaia di famiglie a ciascuna delle quali veniva affidato un “torchio” chiudibusta di uso domestico, che alla fine degli anni Sessanta venne soppiantato dalla macchina per il confezionamento automatico messa a punto personalmente da Umberto Panini.

Fu proprio grazie all’automatizzazione dell’intera filiera che la Panini acquisì l’indiscusso primato produttivo su competitor più antichi come la torinese Edis o la milanese Lampo, che furono in grado di colmare il gap tecnologico soltanto alcuni anni dopo. Alcune delle bustine in gallery sono in vendita nel negozio eBay Italian Pop Collections.

courtesy Anniversary Books
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