
Dovevo essere alla presentazione di una Cuvèe di Champagne e invece ho preferito restare a celebrare il Lambrusco di Sorbara Omaggio a Gino Friedmann.
Dovevo essere “nella magnifica cornice”, “nella magica location” e invece sono sotto i portici di via Santa Caterina nella “mia” Bologna.
Doveva essere primavera inoltrata, in fondo è fine maggio, e invece diluvia e nel pur breve percorso a piedi mi si inzuppano le zeppe.
Dovevo mangiare finger food e invece addento felice pane e mortadella.
Doveva esserci uno chef pluristellato e invece sono con Daniele Minarelli dell’Osteria Bottega, l’istrionico Oste, che si ostina a non scrivere le comande perché lui, dice, “ricorda tutto a mente”! E che fa il bacia mano alle (belle) signore.

Dovevo indossare l’outfit che avevo preparato: un little black dress per il cocktail a base di champagne se fossi andata a nord; uno scollatissimo vestito vintage anni ’70 nero a fiori che “pare essere stato cucito apposta per le tue forme”, se qui non ci fosse stato un freddo tale da farmi optare per jeans e giubbotto di pelle, la scollatura è rimasta!
Doveva esserci un’elegante cartella stampa piena zeppa di parole, che mi raccontasse perché sono stata invitata, e invece c’è un bicchiere di lambrusco e ci sono le chiacchiere scambiate con Michele Rossetto, enologo capo della Cantina di Carpi e Sorbara, e con Giorgio Melandri, con Daniele Minarelli e gli altri presenti.
Doveva esserci un primo briefing per scegliere il nome e invece a quanto dice Giorgio Melandri, critico enogastronomico, degustatore, mio paziente amico nonché persona informata sui fatti: «il nome l’abbiamo scelto a pranzo da Luca Marchini a Modena mangiando tortellini e bevendo Sorbara. Andava bene, l’abbiamo capito subito. E abbiamo continuato a mangiare».
Doveva esserci un secondo briefing con un grafico per la creazione di un’immagine, dell’etichetta e invece sempre secondo il solito informato Melandri: «l’etichetta c’era già ed era su una vecchia bottiglia degli anni ’70, sopravvissuta chissà come a vari giri di riordino e pulizia. Bella, bellissima, storica e con un grande talento per la narrazione».

La “firma” di Modena
Doveva esserci un ragionamento complicato sul vino e invece si è deciso di fare un vino secco, diretto, classico nello stile. Una semplicità raffinata per il mondo del vino di oggi tutto ragionamenti e marketing.
Dovevano esserci alcune presentazioni a Milano, Roma, Firenze, Torino e invece le presentazioni sono state a Reggio Emilia, Modena, Bologna.
Se non ti seguono i tuoi, ma chi ti segue!
Doveva esserci una brochure, oppure un flyer, ma invece c’è un piccolo libro scritto da Giorgio Melandri. 50 pagine in cui si racconta e racconta e ancora racconta. E che se ne andrà in giro con il vino, chiuso nel cartone con le bottiglie e pronto a dire tutto, ma proprio tutto, sulle sue compagne di viaggio.
Doveva esserci un personaggio famoso in ogni tappa e invece c’è stato un grande protagonista, Gino Friedmann, l’uomo straordinario al quale è stato dedicato questo libro. Un ebreo modenese nato alla fine dell’800, che ha sviluppato la cooperazione nel suo territorio, un uomo illuminato e pieno di energia. Pioniere dell’agricoltura moderna.

Archivio Partecipanza Agraria di Nonantola

