Foodboard (live): la genesi di un piatto | Gianluca Gorini e Il Barone Cosimo fa pace con le lumache

Un piatto è un insieme di ingredienti, a volte più o meno identificabili (dipende anche un po’ dai palati). Nel caso di alcuni chef un piatto può diventare una vera e propria opera d’arte, frutto di suggestioni cromatiche, di emozioni, ispirato magari da una fotografia o da un paesaggio, dall’arte, dalla storia, dalla musica, da un viaggio, dalle tradizioni che diventano linguaggio.
Vi siete mai chiesti che cosa sta dietro ad un gran piatto di un grande chef?
Noi sì, e abbiamo deciso di cercare la risposta con una rubrica, Foodboard, illustrata da Luca Laurenti.

Sabato 22 novembre in occasione di Enologica 2014 Luca ha eseguito dal vivo la tavola che vedete nelle immagini sotto.


il piatto
IL BARONE COSIMO FA PACE CON LE LUMACHE

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Ingredienti principali: lumache,tartufo nero, pinoli, erbe selvatiche, funghi porcini, resina di cipresso
Quando è nato? Per il Teatro dei cuochi di Enologica 2014
È ancora in carta? Non ancora, ma ci sono piatti a base di lumache


lo chef
GIANLUCA GORINI

Età: 31 anni
Ha iniziato a cucinare a: da sempre, i suoi genitori gestivano una trattoria
Breve storia: dopo essere stato nelle cucine di Paolo Teverini, Gualtiero Marchesi e Paolo Lopriore nel 2012 è approdato a Le giare
Ristoranti: Le Giare
Web: legiare.com


la storia

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«Ho detto che non le voglio e non le voglio!» — e respinse il piatto di lumache. Mai s’era vista disubbidienza più grave.

Il barone rampante, Italo Calvino

Correva l’anno del Signore 1767, quando Cosimo Piovasco di Rondò sedette per l’ultima volta a tavola con i suoi familiari. “Cosimo rifiutò le lumache e decise di separare la sua sorte dalla nostra” racconta il fratello, voce narrante del capolavoro di Italo Calvino Il barone rampante.

Cosimo rifiuta quelle stesse lumache che lui e il fratello più piccolo, Biagio, avevano tentato di liberare, e che la sorella Battista gli fa trovare nel piatto a pranzo proprio alla fine dei tre giorni di punizione. Ora dovete sapere che Battista, pur bravissima a cucinare, era solita manifestare il proprio animo inquieto proprio in cucina, propinando ai propri cari: “certi crostini di paté, aveva preparato una volta, finissimi a dire il vero, di fegato di topo, e non ce lo aveva detto che quando li avevamo mangiati e trovati buoni; per non dire delle zampe di cavalletta, quelle dietro, dure e seghettate, messe a mosaico su una torta; e i codini di porco arrostiti come fossero ciambelle; e quella volta che fece cuocere un porcospino intero…Poi le lumache: era riuscita a decapitare non so quante lumache, e le teste, quelle teste di cavallucci molli, le aveva infisse, credo con uno stecchino, ognuna su un bignè, e parevano, come vennero in tavola, uno stormo di piccolissimi cigni.”

Rifiutato il piatto, forse per uno scatto d’ira, per volontà di ribellione o semplicemente per paura di subire un’ennesima punizione Cosimo saltò dalla finestra della sala da pranzo su un elce e da quel momento visse sui rami degli alberi del parco di famiglia, dei nobili confinanti e dei boschi dell’Ombrosa.

La pace fatta fra il barone Cosimo e le lumache è la metafora della pace che la cucina italiana deve fare con la sua natura di povertà, con quella matrice che l’identità italiana in cucina ha rielaborato ed esaltato

Non importa che ne Il barone rampante Cosimo finì per non scendere dagli alberi neppure al momento della morte. Al giovane ed immaginifico chef Gianluca Gorini è piaciuto pensare di riuscire a farlo scendere allettato da un piatto che vede proprio le lumache protagoniste. Un piatto che è un paesaggio, con tutti gli elementi, e tutti selvatici, che fanno parte delle colline romagnole: tartufo nero, pinoli, erbe selvatiche, funghi porcini, resina di cipresso.
Una sorta di omaggio alla raccolta ancestrale, all’uomo prima dell’agricoltura o forse semplicemente a quella capacità dei contadini di approfittare di tutto in un’economia che li vedeva impegnati in un estenuante corpo a corpo con la natura.

La pace fatta fra il barone Cosimo e le lumache è la metafora della pace che la cucina italiana deve fare con la sua natura di povertà, con quella matrice che l’identità italiana in cucina ha rielaborato ed esaltato. Una serenità necessaria, un punto di arrivo che finalmente abbandona la vergogna della cucina popolare per prenderla per mano e portarla dove non avrebbe mai pensato di arrivare.

(testo di Giorgio Melandri e Francesca Arcuri)


le foto dell’evento

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