Una storia d’amore

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Ci sono dei posti in cui ci si ferma per una sosta, per un caffè o per pranzare dove si mescolando allegramente persone appartenenti ai più eterogenei ceti sociali. La trattoria Al ponte de Fero all’entrata di Schio era uno di questi posti: dalla cucina 
uscivano piatti assolutamente autentici: equilibrati nel sapore e nel loro valore.

In questa trattoria avvenne un incontro storico negli anni ‘90.
Oreste Filippini, titolare della premiata Tessitura della valle del Chiampo dopo aver pranzato stava tentando una operazione molto complessa: sorseggiare il cosidetto “rasentin” (piccolo omaggio della casa per sciacquare con la grappa la tazzina del caffè), pagare il conto, accendersi una sigaretta e rimproverare il figlio obeso che faceva scorta di cioccolatini. Nel difficile tentativo di compiere tutti i gesti insieme gli scivolò la cartellina di cartone che teneva sottobraccio. Una volta a terra parte del suo curioso contenuto andò a finire sotto un tavolino: c’erano 3 foto di una suora in posa come una modella un po’ goffa, 
alcuni campioni di lana grigia ed un santino.

Seduto al tavolo vicino alla cassa c’era un giovanotto magro tutto vestito di nero, con il codino, e una signora. Il giovanotto si chinò e aiutò a ricomporre il contenuto della cartellina. Oreste rifilò un affettuoso scappellotto al figlio, ringraziò e visto il cenno che gli aveva fatto il ragazzo si accomodò al tavolo. Sorrise per lo stupore che si leggeva sul viso del ragazzo e, soffiando il fumo 
verso la porta aperta, per non dar noia, disse ridendo: «Chissa sal pensa de mi, in do valo questo ingiro co le foto de le moneghe».

Il ragazzo con un lieve accento meridionale, rispose contraccambiando il sorriso: «Non sono le foto delle suore che mi incuriosiscono, sono i campioni di lana che mi interessano».
«Eh caro le suore le se tratta ben, tela di lana da quattordici micron!», ribadì con il suo ghigno bonario.
Da quel giorno nacque una collaborazione ed una amicizia che durò molti anni. Il ragazzo era un promettente stilista che portò in giro per il mondo quei tessuti, Oreste passo dalle presentazioni dei suoi campionari in curia o presso la sede dei vari ordini religiosi agli showroom di questo e di altri noti stilisti.

Bene direte voi, e poi?
L’azienda crebbe, i figli si impegnarono in azienda e la tessitura artigianale arrivo a ingrandirsi sempre di più. Da piccola tessitura era diventata una realtà importante che marciava a pieno ritmo, senza ciminiere: le ciminiere erano i componenti della famiglia. Non ho ricordi di aver visto gente fumare con tale accanimento, il cane di razza indefinita con il muso da volpino che girava tra uffici e magazzino in mezzo a tanto fumo tossiva pure lui, era infatti soprannominato sbosega (tosse in dialetto veneto). Forse era il fumo che dava una mano particolare a quei meravigliosi tessuti in lana, o più probabilmente la tintoria di Biella dove venivano portati per il finissaggio, a Biella perché aveva acque purissime e sapienze uniche.

Purtroppo la crisi finanziaria del 2008, con il fallimento della Lehman Brothers e la cosiddetta “bolla dei derivati” coinvolse quasi tutti gli istituti di credito.
A corto di liquidità le banche (quasi tutte) pensarono bene di ridurre gli affidamenti, badate bene, non ai clienti cattivi, cioè quelli con alte esposizioni e con possibilità pressoché nulle per loro di rientrare: se avessero fatto questa operazione sarebbero state costrette a dichiarare le perdite reali e a mettere quindi in discussione la loro sopravvivenza e poteva emergere la responsabilità di chi aveva concesso e di chi aveva ottenuto soldi per meriti clientelari.
Paradossalmente si fecero crollare le imprese come quella di Oreste, alle quali venne a mancare la liquidità necessaria per acquistare i filati della stagione. L’azienda non riuscì a consegnare il venduto della stagione e da lì incominciò la fine.

Questa è una delle tante storie di sapienze e tradizioni perse. Pensate a quegli anni: c’era quel tizio che girava ruttando su e giù per la Val Padana con l’ampolla dell’acqua del dio Po in nome delle tradizioni. Ma le tradizioni vere da difendere erano queste, i valori e la cultura autentica del nordest era questa: l’amore per il proprio lavoro, per il saper fare e fare bene.

E qui veniamo al titolo. Ci sono le storie d’amore tra le persone, e su queste i poeti ed i cantautori hanno raccontato tutto il possibile: del legittimo amore per il proprio lavoro poco si parla. Oreste quando passava in mezzo al magazzino accarezzava le pezze di tessuto sui carrelli come fossero bestiole. Quando gli chiedevi una cosa particolare aggrottava le folte sopracciglia e ti rispondeva «se», che era come dire si è difficile ma te lo faccio.

Ecco che l’Italietta delle banche e della cattiva politica ha distrutto tutto, e ha fatto precipitare “l’ascensore sociale” della famiglia di Oreste, figlio di un tessitore della Marzotto. Aveva cominciato il padre con un telaio in cantina giusto per non annoiarsi la sera, visto che non c’era la televisione, poi il figlio Oreste perito tessile era passato a 20 telai e poi i figli di quest’ultimo che hanno visto crollare tutto tra la colpevole (criminale!) disattenzione di chi doveva difendere il territorio le sue aziende ed i lavoratori.

Intanto la sindacalista sentenziosa, in un convegno a Mestre, dichiarava che il nordest era entrato in crisi per il limite delle aziende nella ricerca.
 La solita banalità che ha trovato scritto sul foglio che gli ha passato il ricercatore della facoltà di economia, quello che le fabbriche le vede verso le nove e mezza andando al suo dipartimento passando in tangenziale. Ricerca in università vuol dire quasi sempre assunzioni di parenti. Un po’ di umiltà e cercare di conoscere le storie vere delle persone e di aziende come questa, quello no!
L’azienda di cui parlavo prima sapeva fare il meglio della produzione tessile. Se i tessuti possono avere un’anima lì c’era (infatti erano stati scelti per primi dalle suore).

A quante aziende “decotte”, medie e grandi, sono andati fondi, sussidi e cassa integrazione erogata in modo pressoché illimitato con la colpevole complicità del sindacato?
Difendere l’occupazione è una battaglia sacrosanta, ma se questo vuol dire bruciare risorse pubbliche a danno di altre aziende meritevoli. Si finisce per bruciare il futuro: i risultati si stanno vedendo.
 Alle piccole sono arrivati a togliere anche le briciole del credito che avevano.
Ai “simpatici” banchieri (non ai bancari che a fine mese sono costretti a telefonare ai capifamiglia che non riescono a pagare il mutuo perché non arriva lo stipendio) vorrei chiedere: ma quando la sera vi lavate i vostri denti aguzzi e inevitabilmente vi guardate allo specchio andate a letto sereni dopo aver detto dei no sapendo di creare disastri, e dei sì concessi solamente per accontentare il vostro capomanipolo con i piedi nella politica?

P.S
Ogni tanto trovo Oreste nella bellissima piazza della cittadina dove abita che intrattiene altri pensionati in cerca del quarto uomo per la partita a carte. Mi ha confidato che intende raccogliere le firme e denunciare il sindaco perché lo priva del piacere di giocare a carte al caffè Borsa, chiuso da anni. Speriamo che vinca almeno questa battaglia!

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