Ci sono luoghi e persone che segnano delle epoche. In genere la consapevolezza di quanto il segno lasciato sia stato profondo la si acquisisce dopo. Capita, raramente ma capita, che ciò che le persone fanno sia talmente significativo per un ambito culturale che la “storia” ti si materializza davanti mentre si compie; ne percepisci il segno nel mentre si sta tracciando. Il luogo è l’Osteria Francescana, le persone sono Massimo Bottura e Beppe Palmieri (e tutta la straordinaria squadra della Francescana), il solco lo stanno scavando nel mondo della ristorazione, della gastronomia. Con tutta probabilità non solo quella italiana, vista la straordinaria attenzione che Massimo Bottura riceve ormai ovunque nel mondo. La cucina di Massimo bombarda i suoi clienti di stimoli intellettuali con una velocità ed una quantità che nemmeno internet ed una profondità che nemmeno una seduta di psicoanalisi; la sua è certamente una cucina di “testa” come si usa dire, ma raramente vi capiterà di avvertire la vostra testa e la vostra pancia così concordi e sincrone nel registrare sensazioni.
Quanti anni hai, dove sei nato, da quanto fai il cuoco?
Ho 50 anni, sono nato a Modena e ho scoperto da poco di aver cominciato a cucinare da quando avevo cinque anni.
Il nome del cuoco dalla cui cucina ti senti più distante e quello alla cui cucina ti senti più vicino:
Massimo Bottura.
La III° media del tuo paese ha visto le ultime puntate di Master Chef e ne hanno parlato in classe. Al docente di italiano viene l’idea di far vedere ai suoi alunni come funziona un ristorante dal di dentro e li porta in visita al tuo ristorante. Cosa prepari loro per pranzo?
Se penso a me in terza media, mi risulta difficile trovare un piatto che potesse avere avuto il potere di tenermi seduto tranquillo con tutta la mia classe in un ristorante. Dunque, alla luce di quella esperienza, penserei a qualche cosa da asporto. Che possano mangiare anche correndo o pomiciando. Un sorbetto.
Dolce, salato, acido, amaro, quale scegli? L’umami non vale…
È impossibile immaginare un piatto che non sia un equilibrio di tutti questi elementi, umami compreso.
Un incontro casuale ma hai la certezza che si tratti della tua anima gemella. Ti confessa un debole per il cibo gourmet, riesci ad invitarla a cena e ti giochi tutto su una singola preparazione. Un piatto tuo o un grande classico? Quale?
Faccio come sempre, ne invento uno insieme alla mia anima (ma in questo caso gemella).
“Chilometrozero”, “buonogiustoepulito”, “naturale”, “artigianale”… quanta etica serve per fare un gran piatto?
Serve la buona educazione.
Sono appena entrati in sala l’ennesimo ispettore di guida e, dopo pochi minuti, un tale che fa un sacco di domande e scrive compulsivamente sul suo cellulare; si siedono a tavola ed ordinano. Sotto la salamandra i piatti sono pronti, siamo agli ultimi ritocchi. Ti ricordi di aver in tasca per caso, guarda il caso, una boccetta nuova di pacca di guttalax ed il fondo di un flacone di veleno per topi… e sono tutti girati dall’altra parte…
Non so cosa sia il guttalax e l’idea che esista in commercio il veleno per topi mi fa cagliare il sangue.
La domanda non mi diverte, anzi, mi preoccupa.
foto di Thomas Ruhl e Paolo Terzi