Ester Grossi, The Grandmother (World of Sam), acrylic on canvas, 2010

L’uomo doppio, e l’eterna domanda “Perché se la mente vuole andare da una parte, il corpo ha il diritto di andare da un’altra?”

Ester Grossi, The Grandmother (World of Sam), acrylic on canvas, 2010

AVVERTENZE: per chi è scisso, questo è un film che divaricherà ancora di più le forbici. Per chi si sente graniticamente uno, prestare attenzione, questa è una pellicola che potrebbe stimolare sentimenti di rivolta interiore.

Se più o meno un mese fa mi sono potuta godere l’anteprima de L’uomo doppio, io, gallina in fuga lontano dalle orde della notte bianca bolognese, oggi non potrò più a lungo vantare l’esclusiva. L’ultimo film di Cosimo Terlizzi (pugliese, classe 1973), artista visivo e regista, prodotto nientemeno che dalla Buena Onda di Riccardo Scamarcio, Valeria Golino e Viola Prestieri, è tornato in sala proprio in questi giorni: a Bologna, a Roma e Milano.

E ora non posso evitarlo, non posso più fare la vaga.
Devo parlarne. Per istigare alla visione chi potrà farlo. Magari il prossimo 21 marzo al Bifest (Bari Film Festival). Da soli possibilmente, in modo che nessuno parli in modo inopportuno mentre terrete lo sguardo fisso puntato sulla vostra interiorità. E poi per favore, tornate qui e parliamone.

Perché questo film mi ronza in testa da un po’. E comincio a risentire gli effetti dell’Onda Lunga della narrazione che—debordata fuori dai quattro angoli dello schermo—mi ha travolto in pieno. Così come la pacata voce narrante e sempre presente di Cosimo che, ombrellino sollevato con la punta rivolta verso l’alto, conduce come un tour operator i suoi spettatori attraverso non le millenarie Piramidi ma tra altrettanto e forse più arcaiche domande (e qualche risposta) sull’Essere.

Interrogativi fondamentali a proposito della relazione e della complementarietà di corpo e anima, posti—e qui sta l’inghippo—con modi così garbati che appena torni a casa, non te ne rendi conto, ma vai di corsa a “googolare” la biografia di Jung e successori. Un effetto-centrifugo che Cosimo Terlizzi ha ottenuto scomponendo e mettendo in scena la sua vita, i micro-fatti di tutti i giorni (i suoi “tutti i giorni”, che non sono affatto ordinari, se non fosse per il sollievo di scoprire che anche lui usa Skype, scrive mail, si fa gli autoscatti nei bagni degli alberghi).

Protagonisti, oltre al suo compagno Damien Modolo, assistente alla regia, anche i suoi amici e letteralmente compagni di viaggio. Come Christian Rainer, artista visivo, musicista, compositore e scrittore, il cui percorso si intreccia spesso con quello di Cosimo, e che per L’uomo doppio ha curato la parte musicale (insieme ai Melampus).

Per entrare meglio nel film però occorre fare un passo indietro e tornare al precedente “documentario” di Cosimo Terlizzi, Folder del 2010: storia a ritroso e ritorno che indaga e ricostruisce per via empatica i sentimenti di Fabiana, un’amica di Cosimo morta suicida qualche tempo prima, nel tentativo di riunire in un unicum ego e corpo, identità e genere, dopo essersi sottoposta all’operazione del cambio di sesso. “Distruggi il tuo Ego”, la frase scritta su un muro da Fabiana, è stata la conclusione. No, non può finire così. No. E adesso?

E adesso è arrivato L’uomo doppio appunto, che da questo punto ripartirebbe, se in fondo non godesse di una sua vita propria, la stessa che lo porta—attraverso un percorso riflessivo e di botta e risposta con l’esistenza—alla nuova conclusione “Conosci il tuo Ego”. Variazione di socratica memoria che riconcilia gli opposti nel loro prenderne atto.

Come Folder, anche L’uomo doppio ha assunto ufficialmente la forma di un “documentario” (ed è innegabile in effetti che “documenti” la vita dell’autore durante i suoi spostamenti geografici e interiori). Un documentario che si muove tra morale, biologia, psicoanalisi, verso l’infinito e oltre. In ogni modo noi, rassicurati da una fotografia solo superficialmente “comune”, a poco a poco veniamo calati in uno spazio di riflessione sempre più profondo che rende inevitabile la partecipazione emotiva. E solo gli spettacoli naturali a cui assistiamo appaiono “eccezionali”. E non cito a caso le dimensioni dell’enorme coniglio bianco Lazzaro, che compare traslocato da un appartamento ad una macchina, destinazione una nuova casa. E di questo vi prego di ricordarvi, se leggerete oltre. Perché pure Lazzaro ha un ruolo.

Infatti, l’incontro tra una me—nutrita da ipertrofiche dosi di fiction, apocalissi-zombie, performance di giovani attori bellocci di nuova generazione—e un film come L’uomo doppio non può essere casuale. E in generale penso che sarà così più o meno per tutti gli spettatori che lo vedranno, qualunque siano le loro abitudini cinematografiche. Nel mio caso esiste una responsabile e il suo nome è Ester Grossi, amica pittrice di cui si sente parlare spesso qui in giro. Sensibile alle luci, sensibile ai temi, sensibile alla ricerca di Cosimo, Ester lo conobbe proprio per via del Grande Coniglio Bianco, Lazzaro, a cui ho accennato poco sopra. E di cui dipinse un ritratto, dopo averne visto una foto. Le vie delle particelle elementari (Michel Houellebecq non poteva mancare) sono infinite.

Tutto sommato però ora un’idea me la sono fatta. E finalmente non è che mi senta intelligente, ma nemmeno stupida del tutto. Non è la discussione filosofica il punto fondamentale. Si può dare una risposta, ma è possibile anche cambiare idea subito dopo. L’importante è aprire le danze al pensiero, all’osservazione, alla consapevolezza. Caldeggio quindi la posizione di Riccardo Scamarcio (e come non potrei? Almeno questo per favore), osannato durante l’anteprima da un quieto chiacchiericcio proveniente della platea femminile di età variabile e con più o meno decoro.

Scamarcio, perfettamente a suo agio nei suoi occhioni e nella nuova veste di produttore che evita per l’appunto le prese di posizione che non gli appartengono, ha dribblato ogni intellettualismo. Anche io mi astengo. Mi piace Jung, e proprio Jung intendo e non Fassbender, ma mi ci perdo in mezzo a tutti questi pronomi personali. E preferisco lasciarmi cullare dal film nel suo abbraccio complesso.

In conclusione, niente psicoanalisi in eccesso: qualcuno ha scritto prima di me che potrebbe essere simile ad un “road movie” o ad un “diario d’artista”. Il mio punto di vista è quello di chi senza saperlo si trova a flottare dentro la versione 2013 di Viaggio al centro della terra, rigorosamente l’originale del 1959: la storia di un manipolo di ardimentosi rimpicciolitisi per poter essere iniettati all’interno di un corpo umano. Il minuscolo diventa così macroscopico, l’invisibile visibile, quello di cui non ci si accorge imprescindibile. Ed è così che mi sono sentita: inoculata—piccolissima—all’interno della vita di un altro, con libera autorizzazione al voyeurismo. Osservatrice privilegiata di quei movimenti involontari, azione e reazione che appartengono ad ogni nostra componente. Io ego sé corpo anima. Le pulsioni soprattutto, le spinte inconsapevoli, le vanità, le esigenze della carne, del corpo, del cuore. Le percepisco, ma son troppo piccola per osservare l’insieme e poterlo concepire in una totalità.

Così scappo. E mi trovo davanti la poesia della biologia, la rassicurante sicurezza della scienza. Se non fosse che come dice il saggio Jeff Goldblum (in Jurassic Park), se continueremo a frammentare l’esistente arrivando a sminuzzare pure le “particelle di Dio”, otterremo scientificamente un meraviglioso caos.

Una domanda seria sono riuscita a farla a Cosimo Terlizzi, ed era a proposito del titolo. I titoli sono sempre fondamentali, dovrebbero contenere in sé tutta l’opera.
Ecco la risposta: «Avevo cominciato il primo montaggio dei file archiviati dopo Folder. Nella scrittura dell’Io Narrante mi sono reso conto che vi era uno sdoppiamento tra pensiero e vita del corpo. Questo primo dato mi ha fatto intitolare la bozza per istinto L’uomo doppio. In realtà l’idea di doppio mi accompagna dalla nascita per via del mio segno zodiacale Gemelli e per la diceria sulla doppia personalità. Oddio, che poi diceria tanto non è. Ma questo indagare dentro di me ha portato fuori cose che in realtà mi accomunano con gli altri. Altra casualità è il mio nome Cosimo associato a quello del mio compagno Damien. Nel mio paese d’origine vi è la Basilica dei Santi Medici Cosma e Damiano, fratelli anargiri, che mi hanno da sempre affascinato per via del fatto che sono sull’altare uno affianco all’altro e portati in processione così.»

editorialista
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