7am | Sergio Tranquilli

7 opere e 7 domande, alle 7 di mattina, a fotografi che si svegliano presto o non sono ancora andati a dormire.
Oggi è la volta di Sergio Tranquilli (qui il suo Flickr).

Ciao, quanti anni hai e di dove sei? Da quanto scatti foto?
Ho 36 anni, vivo a Porto San Giorgio, nelle Marche. Pendolare per molti anni a Bologna e oggi verso la Francia.
Vorrei trasferirmi a Parigi. Ho sempre avuto una macchina fotografica in mano potrei dire. Ho dei ricordi di me piccolissimo con la Yashica di mio padre; ancora conservo e uso la Polaroid regalatami alla prima comunione. La fotografia poi scompare dalla mia vita per poi riemergere in maniera più urgente molti anni dopo in occasione del mio primo viaggio negli Stati Uniti.

La tua attrezzatura?
Una reflex analogica con due obiettivi, uno normale e un grandangolo. Si tratta di una macchina molto vecchia che ha più o meno i miei stessi anni. Recentemente le ho affiancato una compatta digitale.

Cosa fai quando non fai foto?
Faccio molte cose che poi influiscono sul far foto: leggo libri, ascolto musica e guardo film (i miei preferiti: Antonioni, Wenders e Kaurismaki). E nuoto!

Descrivimi la tua stanza.
La mia stanza ha pareti celesti e mobilio di legno scuro, credo sia ciliegio. Sembra di essere in una nave. Essere in un posto che ti suggerisce e stimola l’apertura sull’altrove è una cosa per me salutare.
Dalla finestra si vedono le cime di alcuni alberi e, in lontananza, una torre medievale. Questa finestra è sempre stata una molla per far scattare l’immaginazione. La luce che da lì entra contribuisce, al tempo stesso, a farne un luogo riparato, un punto fermo dove potersi anche riposare e ricaricare.
Da tutte le altre stanze nelle quali mi è capitato di soggiornare per periodo più o meno lunghi me ne sarei potuto andare via molto in fretta.

La tua macchina fotografica pesa quanto…
Pesa pochissimo. Cerco di essere il più leggero possibile.

Se il tuo immaginario fosse un film? O un libro?
A lungo il mio immaginario è stato nutrito dai racconti di Bukowski. Non ho mai desiderato fare o essere un barbone ma nella sua capacità ruvida di presa sul mondo c’è qualche cosa di interessante. Mentre ci racconta del suo inferno personale riesce a trasformarci, racconta le sue vicende e nel frattempo è il ritmo della sua scrittura a lavorarci. Oggi penserei piuttosto a Philippe Petit, l’uomo che camminò su di un filo tra le Twin Towers, il quale ha scritto On The High Wire, Trattato di Funambolismo.
Come dice una mia amica la profondità non deve per forza scendere verso il fondo: “aereo e profondo insieme.”

Un fotografo/a che mi consigli di tener d’occhio?
Faccio due nomi: Enrico FolegattiSimona Paleari.

Un messaggio

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