Giorgio Di Palma e le ceramiche di cui non c’era bisogno

Ho una passione smodata per le cose inutili.
L’ho sempre avuta ed il risultato, a distanza di anni, è rappresentato dagli innumerevoli cumuli di oggetti poco funzionali che popolano la mia esistenza e – contemporaneamente – dalle altrettante necessità che ho, volontariamente, dimenticato. Per farla breve, diciamo che nella vita preferisco le cose piccole ed originali a quelle grandi e ben collaudate; penso, da sempre, che diano più soddisfazione.

Le ceramiche di cui non c’era bisogno di Giorgio Di Palma rientrano, per scelta, tra le prime. Non le puoi usare ma puoi metterle da qualche parte e rendere il “tuo” posto più piacevole. Sono totalmente “inutili” e ripropongono – il più delle volte – oggetti che nella vita di tutti i giorni hanno invece a che vedere con l’utile o con quello che, una volta, lo era.

Chiavi inglesi e mollette per stendere la biancheria, lampadine e ferri da stiro, forbici e cassette degli attrezzi. Ma anche tv, vecchie lomo e joystick alla prima maniera. Tutto è inventato e prodotto da Giorgio, tarantino con la passione per l’archeologia ed un passato da tecnico informatico in Ungheria che, tornato in Italia, ha recuperato con la lavorazione della ceramica la tradizione della sua terra e della sua famiglia per creare, nell’era del superfluo, qualcosa che fosse superfluo (ed imperfetto) per vocazione.

Nel 2011, con un low (low low!) budget di soli 234 Euro, Giorgio Di Palma ha messo su un proprio studio personale — 234 a Grottaglie — senza l’uso di altri finanziamenti e senza l’utilizzo di “materiali del consumo” come la plastica, antitesi ideologica della ceramica. Se vi trovate in Puglia, vi consiglio di fare un salto.
Se invece non vi trovate in Puglia, oggi potete comunque decidere di lasciar perdere tutto quello che avete da fare per votarvi, anche solo per qualche ora, alla pura inutilità.

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