Della mia prima volta a Verona ho ricordi offuscati, al sapor di vino, spritz e antiche osterie, ma ho sempre ricordato bene i vicoli stretti e, soprattutto, i lampioni che la sera riescono a rendere tutto diverso.
Questa volta, buon per voi, ho ricordi nitidi di due giorni che sanno di storie passate, di vintage, di passioni scoperte per caso (o sempre avute) e di impegno che riempie ogni giornata, per riuscire a dare il massimo e per poter raccontare una storia.
Franklin & Marshall è questo. È una storia fatta di ideali e di valori, che costi quel che costi ci devono essere e sempre ci saranno, perché è ovvio che il fatturato sia importante, ma non ciò su cui basare tutto, e questo è uno dei tanti punti di forza di questo brand nato nel 1999 grazie ad Andrea Pensiero (Product Manager), Giuseppe Albarelli (Amministratore Delegato) e grazie a quella felpa blu con il nome di quel college di Lancaster (fondato nel 1787) che Andrea trovò in un mercatino di vestiti di seconda mano a New York e che gli diede una grande ispirazione: creare dei capi di abbigliamento legati al mondo collegiale, capaci di rappresentare valori sportivi in linea con lo stile americano, ma vicini anche alla musica e a tutto ciò che è creativo, giovane, vero.
Una grande intuizione che portò fin da subito Andrea e Giuseppe a lanciarsi nel mercato europeo (con la partecipazione al Pitti) ottenendo un grande riscontro che permise di aprire punti vendita in Francia, Germania, Italia, Grecia, e con il tempo anche in Inghilterra, a Tokyo, in Kuwait e a Dubai. In questi due giorni veronesi alla scoperta del brand Franklin & Marshall (evento condiviso con Laura Manfredi di Rock’n’mode“, Pierpaolo Bironi e Marco Bianchi di Wait!Magazine, Fabrizio Galati di Livin Cool, Karen Pozzi di Lei Chic, Veronica Ferraro di The Fashion Fruit e per il quale voglio ringraziare Tommaso che ci ha scarrozzati in giro con le Bmw avute per l’occasione, insieme a Stefano Farina ed Eleonora Festari di Isobar e Luca Innocenzi, responsabile marketing di F&M) siamo stati immersi in un mondo fatto di ricordi e storie (raccontateci direttamente da Andrea e Beppe) e di ispirazioni, quest’ultime impossibili da non notare un po’ in ogni dove: sui muri dell’azienda Franklin & Marshall a Montorio (frazione di Verona circondata da verdi colline che ti fan venire voglia di portare un gregge a pascolare) sui quali troviamo vecchie foto del college F&M che ritraggono momenti di vita sportiva, nelle riviste di ogni tipo e nazionalità che riempiono gli scaffali, nei collage composti dalle più svariate immagini attaccati vicino alle scrivanie e nei capi vintage disseminati un po’ ovunque in azienda, insomma, tutto il necessario per creare le nuove collezioni (come la SS13, che abbiamo potuto vedere in anteprima, ma che non posso mostrare per questione di privacy/surprise, i’m sorry).
Tutto ciò che viene prodotto è rigorosamente Made in Italy, e lo abbiamo potuto vedere in due realtà molto diverse tra loro, ma importanti allo stesso modo: nella prima azienda produttrice abbiamo seguito i vari procedimenti per la realizzazione dei capi, dal tessuto che “nasce” alla confezione del prodotto, passando per il taglio, le stampe, la stiratura e la cucitura (ma senza dimenticare l’angolo dedicato alla creazione del colore, popolato da barattoli di ogni tipo e tinta, di cui mi sono perdutamente innamorata), mentre la seconda azienda produttrice, più artigianale e di minori dimensioni, si dedica alla sola confezione.
Ebbene sì, sono stati due giorni difficili: mi sono ritrovata fianco a fianco del Cus Verona (di cui Franklin & Marshall è sponsor) e di alcuni giocatori del Chievo, mi sono improvvisata rugbista (e dalla leggiadria dei movimenti potrei avere anche un futuro), ho mangiato il risotto all’Amarone (su consiglio di Francesco Costantino, prototipo di rugbista che ho sempre immaginato), ho bevuto dell’ottimo vino (per ricordare quella prima volta a Verona, perché i ricordi fan sempre bene), ho dormito in una camera da sogno dalla quale si vedeva l’Adige e il Castelvecchio, ho fatto 5 minuti di corsa e un esercizio sulla palla (non riuscito) nella palestra dell’azienda per sfatare la mia natura di bradipo e, per non smentirmi troppo, sono rimasta a mollo nell’idromassaggio dalle acque colorate per circa mezz’ora.
Sono tornata a casa meno offuscata dell’ultima volta, ma soddisfatta e con (tra le altre cose) una racchetta da tennis vintage che potrebbe spingermi nel fantastico, sudato e sodo mondo sportivo. Ma mi prendo qualche mese per decidere.
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