Un video mostra la produzione della tradizionale carta washi nella prefettura di Toyama, in Giappone

Introdotta in Giappone dalla Corea e prodotta fin dal cosiddetto periodo Nara — cioè quello in cui la capitale venne spostata a Heijō (che oggi si chiama appunto Nara), tra il 710 e 794 — la washi è una preziosa e resistente carta di altissima qualità (il termine significa letteralmente “carta giapponese”) che viene adoperata in molteplici ambiti: dalla calligrafia alla stampa, dalla pittura al packaging, dagli ombrelli alle lampade, fino alle tipiche porte scorrevoli.

Fiore all’occhiello dell’artigianato nipponico, ne esistono diverse tipologie, realizzate con le medesime tecniche da oltre un millennio.
La produzione di washi è una peculiarità di alcune zone del paese ben precise. Una di esse è la prefettura di Toyama, che sorge nella parte centro-occidentale di Honshū, l’isola più grande dell’arcipelago. Qui, le piccole realtà artigianali si sono specializzate in quella che viene chiamata Etchu Washi, che fin dal ‘600 era impiegata principalmente per incartare le medicine, in un territorio in cui i nobili locali incoraggiavano la coltivazione di erbe medicinali.
La carta in questione era caratterizzata da motivi geometrici colorati ottenuti con la tecnica di tintura detta katazome, che consiste nell’applicare una pasta di farina di riso che preserva il materiale dalla tintura, lasciando così delle aree vuote.

Ancora oggi, dopo secoli, si lavora pressoché nello stesso modo, con tecnologie solo un poco aggiornate, ma con gli stessi materiali, i medesimi “ingredienti” (tra cui il kozo, ovvero il gelso, materia prima per la carta, e l’aibika, pianta che fornisce l’agente addensante per rendere uniforme la superficie), con una costante e certosina per i dettagli.

Tutto l’affascinante processo viene mostrato e raccontato da un filmato prodotto da Aoyama Square, negozio e galleria di Tokyo che da anni promuove il meglio dell’artigianato giapponese.

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