The Pleasure of Seeing: 60 anni di fotografia in un libro-intervista di Joel Meyerowitz

«Credo di voler essere ricordato come qualcuno che ha preso sul serio il mezzo fotografico e non si è spinto nella sfera intellettuale, ma ha preferito un modo per cercare di comunicare a persone ordinarie. Ho cercato di fare fotografie che fossero immagini difficili in termini fotografici, ma che comunicassero a un livello elementare. Penso alla fotografia come a un mezzo democratico che chiunque può prendere in mano in qualsiasi momento, e mi piace fare fotografie che siano democratiche, nel senso che chiunque possa guardarle e capirle. Vorrei anche essere ricordato come una persona ottimista. Le mie foto parlano della gioia di vedere e di essere là fuori nel mondo».
A parlare è il fotografo statunitense Joel Meyerowitz, tra i più grandi artisti del ‘900, figura centrale della street photography, autore di più di 30 libri e tra i primi a sdoganare l’uso del colore quando nel mondo della fotografia “seria” il bianco e nero era ancora il canone indiscutibile («All’inizio degli anni Sessanta il colore era considerato un lavoro per dilettanti, per matrimoni e celebrazioni, per riviste, giornalismo o moda» racconta lui. «Il bianco e nero era certamente la cosa fondamentale in fotografia, ma era un’astrazione e una riduzione. Ritenevo che il colore fosse quel mezzo passo in più verso la realtà e che avrebbe portato la fotografia nella posizione di discorso che meritava»).

Joel Meyerowitz, “Shopping Window”, New York City, 1963
(courtesy: Damiani Editore)
Joel Meyerowitz, “The Catskills”, New York, 1963
(courtesy: Damiani Editore)

Originario del Bronx e oggi 84enne, Meyerowitz vive da quasi trent’anni tra le colline toscane, a pochi chilometri da Siena, in quello che potrebbe essere il suo buen retiro italiano ma che tuttavia retiro non è, visto che continua a lavorare: fotografando, scrivendo, riordinando l’archivio e — per circa un anno e mezzo, tra il 2019 e il 2020 — raccontando la sua vita, le sue opere e la propria visione del mondo e della fotografia a Lorenzo Braca, storico e fotografo a sua volta, che ha incontrato più volte Meyerowitz prima all’Isola del Giglio, poi a Londra e in seguito di nuovo in Toscana, per passare infine a delle chiacchierate online quando, nel pieno della pandemia, non ci si poteva più spostare.

Quei lunghi dialoghi — opportunamente registrati da Braca — sono andati a comporre un affascinante libro-intervista che attraversa per intero gli oltre sessant’anni di carriera del fotografo, iniziati con un colpo di fulmine: era l’estate del 1962 e Meyerowitz, che all’epoca lavorava come art director, vide il grande Robert Frank al lavoro. In quel momento decise che anche lui — che fino a quel momento non aveva neanche mai posseduto una fotocamera — sarebbe diventato fotografo. Andò dal suo capo e, licenziandosi, disse proprio così: «I’m going to be a photographer».
Il resto, come si suol dire, è storia. Una lunga storia, splendidamente narrata dall’artista stesso in The Pleasure of Seeing, pubblicato (in inglese) da Damiani Editore.

Joel Meyerowitz, Málaga, Spagna, 1967
(courtesy: Damiani Editore)

Suddiviso in nove capitoli pieni di immagini (ciascuna foto a rappresentare l’innesco per il ricordo: «ogni immagine contiene un’esperienza incapsulata che si espande nella sua mente ogni volta che la guarda. Per questo motivo, la maggior parte dei nostri colloqui è incentrata su una fotografia specifica o su un gruppo di fotografie, esplorando la profondità della memoria di Joel e le possibili associazioni legate alle immagini» spiega Braca nell’introduzione), il libro segue l’ordine cronologico del luminoso sentiero percorso da Meyerowitz nel mondo della fotografia, dagli esordi fino ai lavori più recenti.

Si parla di influenze, di spunti, di situazioni, di avventure, di collaborazioni e soprattutto di visione e di linguaggio fotografico: «Guardando la cosa da una prospettiva linguistica, si entra in una tomba, per esempio, e sulla parete si vedono caratteri incisi 3000 anni fa» dice a un certo punto Meyerowitz. «Per te, i caratteri sono solo linee e non hanno alcun senso. È un linguaggio, ma non comunica nulla. Per chi riconosce i caratteri, invece, ogni pittogramma ha un suono mentale e rappresenta un significato. Tutti noi riconosciamo i simboli della società moderna, perché camminiamo per le strade, compriamo vestiti e abbiamo tutti gli oggetti della vita moderna. Quando facciamo fotografie, riconosciamo abbinamenti o connessioni interessanti perché abbiamo il linguaggio, e a volte ci sorprendono. Questo, credo, è uno dei motivi per cui il libro è sempre stato il luogo più importante per me, più importante della singola immagine e più importante della mostra».

Joel Meyerowitz e Lorenzo Braca

The Pleasure of Seeing
Conversations with Joel Meyerowitz on sixty years in the life of photography

Damiani Editore, 2023
216 pagine, cartonato

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Joel Meyerowitz, Madrid, Spagna, 1967
(courtesy: Damiani Editore)
Joel Meyerowitz, New York City, 1974
(courtesy: Damiani Editore)
Joel Meyerowitz, Truro, Massachusetts, 1976
(courtesy: Damiani Editore)
Joel Meyerowitz, Queens, New York City, 1976
(courtesy: Damiani Editore)
Joel Meyerowitz, “7th Street”, St. Louis, Missouri, 1977
(courtesy: Damiani Editore)
Joel Meyerowitz, “Justine”, Provincetown, Massachusetts, 1977
(courtesy: Damiani Editore)
Joel Meyerowitz, “The Nutcracker”, Coffee From the Land of Sweets, 1993
(courtesy: Damiani Editore)
Joel Meyerowitz, “A crane being erected on the corner of West and Liberty”, New York City, 2001
(courtesy: Damiani Editore)
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