Viaggio intorno al mio studio: Francesca Zoboli

Viaggio intorno al mio studio è una nuova rubrica che intende esplorare gli studi di artisti sospesi fra più discipline: dall’illustrazione alla grafica fino alla pittura.
Seguirà un andamento anarchico, non rispetterà tempi, né associazioni prevedibili.
Sarà solo il tentativo di capire se esiste una relazione fra il luogo dove si crea, la personalità dell’artista e il risultato finale, ossia l’opera. Sarà un’incursione gentile in quello spazio intimo che come la nostra pelle, come ci spiega lo psicoanalista Didier Anzieu, permette a ognuno di noi di relazionarci agli altri e al contempo di difenderci da ciò che è estraneo.

Milano non è Milano. Viene in mente il libro di Aldo Nove mettendo piede nel cortile su cui si affaccia lo studio di Francesca Zoboli. Non uno di quei cortili segreti che si nascondono all’interno di altere magioni centrali, di cui tutti parlano quando vogliono raccontare il carattere understatement del capoluogo meneghino che camuffa lo sfarzo borghese dietro a facciate eleganti, ma estremamente sobrie. Non un cortile dove sono parcheggiate auto di lusso tirate a lucido da personale qualificato. Un cortile, o meglio, un giardino vero. Uno spazio che ricorda una campagna scompigliata che accoglie una natura non del tutto addomesticata dove erbe spontanee e un po’ ribelli si contendono lo spazio con fiori e piante coltivate con amore. Un terreno meticcio, di confine, perfetto per accogliere quei mutamenti di cui parla Henry Mintzberg, accademico canadese studioso di scienze gestionali, quando ricorda che “i cambiamenti nascono e crescono come erbacce nel giardino, non come pomodori in serra”.

Siamo in via Matera, nel Vigentino, culla di numerosi spazi industriali oggi convertiti in unità abitative. A due passi c’è la Fondazione Prada, ma quando Francesca si è trasferita qui l’unico punto di riferimento era il dormitorio di viale Ortles. A raccontarmi la storia di questo luogo così insolito nella sua vitale autenticità è Francesca stessa che lo ha scelto come spazio creativo, perfetto per far germogliare nuove idee (“i cambiamenti attecchiscono dove non ce lo aspettiamo” per tornare alle parole di Mintzberg).

«Questo studio è nato da una coincidenza e da una fortuna» mi racconta dopo avermi accolto con un sorriso nel suo laboratorio.
«Era la fine degli anni Novanta e qui sorgeva una fonderia che aveva chiuso i battenti. La famiglia, su suggerimento di un architetto, decise di gestirlo in modo collettivo dando vita a un gruppo di acquisto. Così ognuno prese un suo spazio dando vita a una comunità di persone inevitabilmente legate dagli stessi valori e dalla voglia di partecipazione». Nel 2000, Francesca, dopo avere a lungo condiviso uno studio di decorazioni d’interni (L’O di Giotto) con alcune socie, spinta dal bisogno di una nuova dimensione sia fisica, sia artistica, si trasferisce in questo luogo dove percepisce fin da subito una libertà totale. «Se l’attività di decoratrice è stata sicuramente formativa, un terreno in cui ho imparato a lavorare per commissioni, confrontarmi con clienti, scegliere i materiali, la svolta pittorica ha preso il via in modo assolutamente anarchico e questo nuovo studio ha rappresentato l’incubatore dove sperimentare ciò che avevo studiato all’Accademia di Belle Arti di Brera». Un percorso che è approdato alla mostra Zone incerte curata da Ivan Quaroni nel 2007 per la Galleria l’Affiche, a cui ne sono seguite moltissime altre fra cui la recente collettiva (presenti Chiara Belloni, Chiara Passigli, Simona Quaglia, Raffaella Valsecchi) sempre per l’Affiche Astrazioni fatali.

Oggi, approdata a una forma di sincretismo fra decorazione e arte, Francesca Zoboli continua la sua attività di decoratrice, ma in un modo completamente inedito rispetto al passato. «Dopo avere scoperto il fascino della carta, un materiale che amo moltissimo, ho iniziato a proporre agli architetti delle carte da parati dipinte a mano o realizzate con la tecnica del frottage. Pezzi unici prima monocromatici, ora aperti alle suggestioni del colore».

La svolta in questo nuovo cammino è avvenuta quando l’artista ha incontrato Wall&Decò, realtà che propone una visione creativa in cui la carta da parati diventa una protagonista del vivere contemporaneo. «Un incontro da cui è scaturita una collaborazione ormai decennale che mi ha permesso di sperimentare sempre di più fino ad arrivare ad associare l’analogico con il digitale con risultati molto interessanti, giocando con i colori e ingrandendo pattern. Ricordo quando Christian Benini, art director e socio fondatore dell’azienda, dopo avere visto il libro illustrato per Topipittori, casa editrice di mia sorella Giovanna Zoboli, Dame e Cavalieri — una riflessione visiva sull’arte del Quattrocento — mi ha chiesto di provare a pensare anche a un’interpretazione da adattare a parete. Ne è nato un grande affresco contemporaneo».

Guardandomi intorno in questo spazio che alterna pieni e vuoti — quel vuoto che ha permesso a Francesca di fare spazio a una nuova dimensione di sé — decido di seguire gli insegnamenti di Xavier de Maistre. Non percorro una linea retta: i miei occhi vagano e vanno da una sedia a sdraio a righe colorate, perfetta per una pausa di riflessione, a un grande armadio che contiene tutti i lavori realizzati in questi anni, fra cui quei magnifici Fiori Blu che sono raccolti nell’omonimo libro edito da la Grande Illusion e illustrano il racconto che la sorella Giovanna fa del loro giardino, rifugio segreto, ubicato nella loro casa sull’Appennino.

Spingendo lo sguardo più in là mi trovo a scrutare una scala che conduce al soppalco. Qui c’è una libreria che raccoglie tutto ciò che Francesca ama: i libri di Sonia Delaunay, pittrice che sapeva far danzare i colori, i testi di Anni Albers, i volumi dedicati all’Arts and Crafts che testimoniano come sia difficile per Francesca potersi collocare in una dimensione unica, preferendo sorvolare con leggerezza l’arte, l’artigianato, l’interesse per il tessile. Dietro alla libreria ammiro una serie di lavori ispirati al Marocco e un’enorme quantità di carta, la materia da cui tutto prende forma, la materia che come il protagonista di Una solitudine troppo rumorosa di Bohumil Hrabal (Einaudi) Francesca ama in modo quasi devozionale.

Scendiamo di nuovo al piano terra e sbircio colori e pennelli custoditi nel bagno, uno spazio cucina che mantiene un rigore quasi monacale e un angolo accanto all’ingresso dove Francesca ha raccolto frammenti di cose amate: un’illustrazione di Gabriella Giandelli, il famoso calendario autoprodotto da “Bau” (Guido Scarabottolo, marito di Francesca), le scarpe illustrate da Cristina Piccioli, alcuni ritratti di amici come l’editore-artista Alberto Casiraghy e la fotografa Marina Alessi e cartoline di vario genere. Colpisce lo sguardo una stampa, tra le tante, realizzate per l’illustrazione del libro Travasi, una delle ultime ricerche visive di Francesca che sono state poi raccolte nell’omonimo libro della casa editrice de La Grande Illusion con quindici racconti, à rebours, scritti da Giovanna Zoboli. Un lavoro che rappresenta l’ulteriore conferma della creatività senza confini di un’artista che ama l’estasi del progettare a prescindere dal destino del risultato atteso.

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