È più o meno dalla Seconda guerra mondiale che, in gran parte del mondo, la settimana lavorativa, che prima era generalmente di 60 ore suddivise su sei giorni, è stata accorciata a 40 ore su cinque giorni. Da allora le cose sono perlopiù rimaste immutate.
Attualmente, tra i paesi dell’OCSE, il maggior numero di ore di lavoro all’anno le fanno in Messico (2124 ore, dati 2020), mentre chi ne lavora di meno sono le tedesche e i tedeschi (1332). Noi in Italia siamo a 1559, più di Danimarca, Regno Unito, Norvegia, Paesi Bassi, Austria, Francia, Svezia e meno di Spagna, Portogallo, Grecia, Stati Uniti, Israele, Russia e Corea del Sud.
«È giunto il momento di un update» dicono da 4 Day Week, fondazione transnazionale nata dall’idea dell’uomo d’affari e filantropo Andrew Barnes e della imprenditrice e filantropa Charlotte Lockhart. Da qualche anno la fondazione promuove nel mondo progetti pilota di sperimentazione di una settimana corta fatta di quattro giorni.
I benefici, secondo molti studi, sarebbero poi gli stessi riportati da Nick Srnicek e Alex Williams nel loro famoso/famigerato saggio-manifesto Inventare il futuro. Per un mondo senza lavoro: «una settimana lavorativa più breve significherebbe una complessiva riduzione del consumo energetico e dell’emissione di gas; il maggior tempo libero a disposizione porterebbe anche a una riduzione dell’acquisto di quei prodotti usa e getta necessari alla vita frenetica a cui siamo obbligati. Più in generale, piegare i miglioramenti della produttività alla diminuzione del lavoro e non alla crescita dell’output si tradurrebbe in un maggior risparmio energetico e nella conseguente riduzione dell’impatto ambientale. […] Altre ricerche mostrano che una settimana lavorativa più breve porterebbe a una diminuzione di stress, ansia e altri problemi mentali alimentati dalle politiche neoliberali. Ma una delle ragioni più importanti a sostegno della riduzione della settimana di lavoro, è che questa è una rivendicazione capace di generare e consolidare il potere di classe. In primo luogo, la riduzione del tempo dedicato al lavoro può politicamente essere dispiegata come una tattica temporanea: scioperi bianchi, astensioni dal lavoro e altri metodi mirati alla diminuzione dell’orario lavorativo sono tutti mezzi capaci di esercitare pressione sui capitalisti. In secondo luogo, la riduzione della settimana lavorativa va anche a rafforzare i movimenti dei lavoratori: sottraendo ore di lavoro dal mercato, il totale di forza lavoro diminuisce e il potere dei lavoratori aumenta». (Va comunque detto che secondo Srnicek e Williams la riduzione della settimana lavorativa è solo uno dei quattro obiettivi essenziali. Gli altri sono la piena automazione; il reddito base universale e il rifiuto dell’etica del lavoro.)
Qualche settimana fa, la campagna di sensibilizzazione e promozione di una settimana lavorativa da quattro giorni si è concretizzata anche con uno psichedelico corto d’animazione, Change the week. Diretto dal regista Ian Pons Jewell e narrato dalla voce del celebre attore Stephen Fry, è un progetto della filiale britannica di 4 Day Week e del think tank Autonomy.

