Il giorno di giovedì grasso di 511 anni fa, in Friuli scoppiò una delle maggiori rivolte popolari dell’Europa rinascimentale, che passò alla storia come il Crudêl Joibe Grasse, cioè “il crudele giovedì grasso”.
Era il 27 febbraio del 1511 e il conflitto sociale già da diversi anni infiammava gli animi in una regione all’epoca già divisa tra l’Impero e la Repubblica di Venezia. Le faide tra i nobili filo-imperiali (gli Strumîrs) e quelli filo-veneziani (i Çambarlans) si trascinavano da tempo, e le condizioni delle popolazioni contadine erano precarie. A cavalcare la rabbia delle classi più povere furono i Çambarlans, che a Udine, proprio durante il Carnevale, si ritiene abbiano organizzato una sanguinosa rivolta, durante la quale i nobili delle famiglie filo-imperiali vennero massacrati. A raccontare l’accaduto fu l’umanista udinese Gregorio Amaseo (schierato con gli Strumîrs), che parlò di cadaveri dati in pasto ai cani e corpi lasciati per le vie del centro, spogliati dei loro abiti, poi indossati, in piena tradizione carnascialesca, dai rivoltosi.
Il conflitto si spostò successivamente nelle campagne, finendo presto fuori dal controllo dei Çambarlans, che finirono a loro volta al centro delle proteste. Alla fine intervenì direttamente la Repubblica di Venezia, che qualche anno più tardi — soprattutto per prevenire ulteriori, futuri moti popolari — istituì un organismo detto Contadinanza, che dava ai contadini friulani una rappresentanza politica nel parlamento locale, fino a quel momento composto soltanto da nobili, ecclesiastici e borghesi.
Si tratta di una storia, questa, non molto conosciuta e assai più complessa e intricata di come l’ho raccontata. Storia che è anche al centro di un bel progetto realizzato da un gruppo formato da due studentesse e uno studente dell’Accademia di Belle Arti “G.B. Tiepolo” di Udine: Alessia Cinque, Michela Landoni e Riccardo Pantanali.
Conosciutosi e formatosi tra le aule dell’Accademia, il trio ha lavorato insieme a diversi progetti, tra i quali c’è un mazzo di carte ispirato appunto alla rivolta contadina del ‘500.
Frutto di una lunga ricerca sulla storia del territorio, le carte si chiamano Le Vilàne (il vilàn, in friulano, è il contadino) e si propongono come una nuova versione delle carte udinesi, esistite fino a fine ‘800 poi scomparse (di recente c’è stato un altro bel progetto relativo alle carte friulane, le Matarane).
«Le carte vogliono raccontare la storia della rivolta contadina attraverso elementi caratteristici delle fazioni protagoniste, conferendo ad ogni seme un determinato significato; i bastoni, protagonisti del mazzo, rappresentano i contadini rivoltosi, adirati nei confronti degli altri ceti: la nobiltà, il clero, la borghesia. Le vesti delle figure, così come i semi, sono rappresentazioni fedeli tratte da incisioni e testimonianze dell’accaduto. All’interno delle carte sono inoltre celati numerosi simboli: le maschere presenti nel fante di spade sono un richiamo alla data del massacro, che coincideva con il carnevale; la bilancia del quattro di spade che pende da un lato, è simbolo di disparità e ingiustizia; la torre distrutta nel due di spade, è raffigurazione dei saccheggi che i contadini attuarono sui possedimenti nobiliari; lo stemma della Contadinanza nel re di bastoni è lo stesso con cui si fregiò la Casa della Contadinanza, la cui facciata è stata riportata sul dorso delle carte» spiegano Cinque, Landoni e Pantanali, che per il progetto hanno lavorato sotto la supervisione del loro docente Luca Fattore, designer e socio dello studio padovano Multiplo.
Le Vilàne sono anche state selezionate da Graphic Days per Singolare Plurale, osservatorio permanente che il festival torinese ha dedicato al tema del regionalismo critico nell’ambito della cultura visiva.
P.S.
Visto che per ogni singolo mazzo di carte che pubblichiamo qui su Frizzifrizzi riceviamo regolarmente mail di gente convinta di poterle acquistare da noi, segnalo che Le Vilàne non sono in vendita. Sono — e per ora restano — un progetto universitario.