Un videoclip strizza l’occhio all’antica tecnica pre-cinema dello zoopraxiscopio

Le tecnologie utilizzate prima dell’avvento del cinema per mostrare immagini in movimento hanno in gran parte nomi piuttosto curiosi: fenachistoscopio, taumatropio, prassinoscopio, stereofantascopio… Uno dei più affascinanti è certamente il zoopraxiscopio per via di quel richiamo alla fauna in un nome che l’etimologia ci dice indicare uno strumento per osservare (scopio), l’azione (pràxis) degli animali (zoo).
Che c’entrano le bestie? C’entrano eccome. Tutto è cominciato, infatti, con un cavallo. Erano gli anni ’70 dell’800 e Leland Stanford, allora governatore della California e appassionato di cavalli, voleva una risposta definitiva a un’annosa questione che si trascinava da tempo: era vero che i cavalli, durante la corsa, passavano alcuni istanti con tutte le zampe in aria, senza toccare il terreno?
Stanford (che insieme alla moglie fu il fondatore dell’omonima università, oggi tra le più prestigiose al mondo), decise allora di chiamare un conosciuto e controverso fotografo britannico, Eadweard Muybridge, che progettava da sé bizzarri apparecchi fotografici.
Muybridge lavorò a lungo per sviluppare un sistema di molte fotocamere, piazzate a diverse distanze lungo un tracciato, e azionate in momenti diversi per catturare il movimento dell’animale al galoppo.
Quella fu la nascita della cosiddetta cronofotografia, che fece fare numerosi passi in avanti agli studi sul movimento e diede modo a Muybridge di scrivere il proprio nome sui libri di storia della fotografia e di storia della scienza.

L’unico modo per guardare quelle prime cronofotografie, tuttavia, era attraverso i fotogrammi statici che le componevano. Ma Muybridge voleva qualcosa di più, voleva vederle muoversi davvero, e trovò una soluzione anche a quello: nel 1879 progettò uno strumento per mostrare le sue cronofotografie animate: funzionava con dei dischi che ruotavano velocemente, con sopra dipinti o stampati i vari fotogrammi. Era nato lo zoopraxiscopio, e il primo esemplare venne costruito l’anno successivo.

A quell’apparecchio si è ispirato il pluripremiato regista britannico Will Dohrn. Specializzato in filmati commerciali, cortometraggi e video musicali, Dohrn ha usato il medesimo principio della pionieristica macchina di Muybridge per il video del singolo 3210 del musicista e rapper londinese Jeshi, dove la storia si sviluppa attraverso la “messa in moto” di oltre 4000 fotografie, che vanno a comporre diversi percorsi che si alternano, si sovrappongono e si intrecciano all’interno dell’inquadratura.
A un certo punto, a circa metà del filmato, appare anche un evidente omaggio al cavallo di Muybridge: una strizzatina d’occhio di Dohrn a uno dei “papà” dell’immagine in movimento.

Fotogramma del video “3210” di Jeshi, diretto da Will Dohrn
Fotogramma del video “3210” di Jeshi, diretto da Will Dohrn
Fotogramma del video “3210” di Jeshi, diretto da Will Dohrn
Fotogramma del video “3210” di Jeshi, diretto da Will Dohrn
Fotogramma del video “3210” di Jeshi, diretto da Will Dohrn
Fotogramma del video “3210” di Jeshi, diretto da Will Dohrn
Fotogramma del video “3210” di Jeshi, diretto da Will Dohrn
Fotogramma del video “3210” di Jeshi, diretto da Will Dohrn
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