Di icone pop, nostalgia e omini Michelin: intervista a Carlo “Cut” Cazzaniga, maestro del traforo

Chi fa il mio mestiere vive tra i link: ne clicca tutto il giorno per trovare le cose di cui andare a scrivere, e ne crea altri, sui quali poi andranno a finire coloro che leggono ciò che pubblichi. Stando la maggior parte del tempo in mezzo ai collegamenti tra progetti e realtà e storie, alla fine si arriva a vedere potenziali link ovunque, soprattutto quelli tra le persone, tra spiriti affini che ancora non si sono incontrati ma che insieme potrebbero funzionare. Capita quindi di mettere il proverbiale “zampino” in belle collaborazioni che in seguito prendono una vita propria, e diventano a loro volta altro materiale su cui buttar giù paragrafi, e così via.
Talvolta, però, succede che i link nascano anche senza che tu te ne accorga. Ci sei in qualche modo in mezzo ma non te rendi conto: fai da inconsapevole tramite, e magari lo scopri solo dopo qualche tempo, accogliendo la notizia con quel sorriso tondo tondo di chi trova un regalo inaspettato.

(courtesy: Cut – Carlo Cazzaniga)

È esattamente quello che è successo con Carlo Cazzaniga, in arte Cut, artista-artigiano milanese e maestro del traforo, tecnica con la quale realizza opere in legno che — riecco i link — funzionano come delle connessioni dirette col mondo della propria infanzia, tra forme e colori che rimandano alle icone del passato, ai personaggi dei fumetti, ai calciatori degli anni ’70 e ’80, ai gelati a stecco che si mangiavano in spiaggia, ai biscotti che ci davano per merenda.

Lettore di Frizzifrizzi da tempo, Cazzaniga ha scoperto su questo stesso sito una società che produce vernici che si trova a pochi chilometri da qui ma che è conosciuta in tutto il mondo: si tratta di Renner Italia, più volte apparsa qui per via di un bel concorso di illustrazione, il Premio Renner per il Contemporaneo (che tra l’altro, nella prima edizione, è stato vinto da un altro Cazzaniga). Lavorando quotidianamente con gli smalti colorati, Cut ha pensato quindi di contattare l’azienda per cercare di instaurare un rapporto, con successo.
«La collaborazione» racconta «si è rivelata importantissima, perché loro sono molto attenti e ricevo tantissimi consigli tecnici sull’uso dei loro prodotti. Poi, grazie a Renner, sono passato dalle vernici sintetiche a quelle ad acqua, e dopo anni a “ubriacarmi” di solventi chiuso in laboratorio, ora è tutto un altro vivere».

La mostra e l’incontro del 16 marzo 2022

Questo felice rapporto durava già da qualche anno, ma a mia insaputa, quando Luca Fotia, che di Renner è direttore della comunicazione, mi ha suggerito di andarmi a guardare il lavoro di Cut, e dopo essermi perduto in un viaggio nella memoria per mezzo delle sue opere — i piedi dei cartoon mi hanno trasportato dritto dritto nei pomeriggi assolati d’estate in cui tentavo senza successo di disegnare i personaggi Disney sugli album Fabriano F4 che sarebbero dovuti servire per la scuola — ho deciso di chiamarlo per portare infine alla luce questo link che ormai girava nell’aere da un po’.
Ecco dunque una piccola intervista a Carlo “Cut” Cazzaniga, che tra l’altro mercoledì 16 marzo sarà protagonista di un incontro, un “dialogo con l’artista”, presso la galleria Canvas & Co, in via Camperio 4b, a Milano, dove saranno anche esposti i suoi quadri in legno, tutti rigorosamente fatti a mano, ché a tagliar col laser — come vedremo — non c’è divertimento.

(courtesy: Cut – Carlo Cazzaniga)

Sul tuo sito scrivi: «A otto anni volevo fare l’astronauta. A dodici il geologo. A diciotto il grafico. A venti sono diventato un artigiano, ma non ho mai smesso di giocare…».
Partiamo da quei 18 anni, quando volevi fare il grafico.

Semplicemente, da ragazzo ero appassionato di grafica. Volevo disegnare, ma non l’ho mai potuta studiare. Mi considero molto ignorante sul tema. Ho fatto invece studi tecnici. Sopra al water, in bagno, ho appeso il diploma di geometra. Per arrotondare, da ragazzo andavo negli studi di architettura a tirare le linee su carta da lucido. Il mio sogno, ai tempi, era quello di andare a fare il tirocinante nello studio di Bob Noorda.
Mio padre era vetraio e, come da tradizione italiana, voleva che anche io mi buttassi nel suo stesso mestiere. Destava il fatto che andassi negli studi degli architetti, e preferiva che facessi il garzone da lui. Così feci. Era un vetreria piuttosto importante, all’epoca. Si facevano lavori considerevoli.
La grafica, però, mi è sempre rimasta in testa. E così alla fine sono approdato a un ibrido. Grazie sia alle conoscenze di vetreria che a quelle di disegno tecnico, mi sono messo a disegnare e progettare profili in alluminio di cabine per doccia. A 21 anni ho aperto una mia azienda, che è andata avanti fino al 2006, lavorando ad alti livelli, sia per il settore residenziale che per i cantieri nautici e le catene alberghiere.

Cos’è successo nel 2006?

Ho capito che il mercato stava cambiando e ho deciso di chiudere. Avevo da parte abbastanza per liquidare tutto e ho preferito smettere.

(courtesy: Cut – Carlo Cazzaniga)
(courtesy: Cut – Carlo Cazzaniga)

Appena in tempo per “scampare” alla grande crisi del 2008.

Si vive una volta sola, e non potrò mai sapere cosa sarebbe successo. Comunque sì, appena in tempo.
Dopodiché ho vissuto per un po’ una fase “limbica”, prima di ritrovare una mia strada. Sapevo lavorare il metallo, sapevo lavorare il vetro, ho riscoperto una mia grande passione — il traforo — e amavo la grafica. Alla fine sono arrivato a creare le mie serie di opere in legno, per cui ora sono conosciuto.
All’inizio erano molto elementari. La prima serie era composta da bassorilievi dedicati alle pettinature dei personaggi famosi. Da lì non mi sono più fermato.
Come sa ogni artigiano, “la mano chiede sempre qualcosa di più”. Intendo dire che non ci si accontenta, che ogni volta si vuole cambiare qualcosa: la tecnica, i materiali, le procedure… Ci si complica la vita ma ci si diverte di più. Tanti mi chiedono «ma perché non usi il taglio laser?». La mia risposta è che: uno, sono scemo; due, toglierei il valore aggiunto al mio lavoro e soprattutto il divertimento.

(courtesy: Cut – Carlo Cazzaniga)

Oltre alle pettinature dei personaggi famosi hai anche creato serie sugli occhiali famosi e sui baffi famosi. Hai una predilezione per la cultura pop?

Nella mia forma mentis c’è un mondo fatto di pubblicità. Come tutte le persone della mia generazione, sono cresciuto in mezzo a quel linguaggio, alle sue forme riconoscibili, ai logo, ai personaggi delle réclame.

Anche il mondo dello sport è molto presente nelle tue opere.

Sono molto legato al Subbuteo e volevo fare una serie su quello, poi ho pensato che il calciobalilla fosse più riconoscibile. Quindi rappresentai alcuni giocatori della mia epoca: Gigi Riva, Cruijff, Antognoni… Alcuni giornalisti la videro e la apprezzarono molto, introducendomi a tutto quel mondo fatto di festival, premi, manifestazioni. Alla fine i miei pezzi sono finiti al Museo del Grande Torino e della Leggenda Granata, al Museo del Palermo calcio, alcuni andranno al Museum Benfica Cosme Damião. È un’attività, questa, che sta andando avanti da sola.

(courtesy: Cut – Carlo Cazzaniga)

C’è una certa “dimensione nostalgia” nei tuoi lavori. O forse, per meglio dire, una “dimensione bambina”: il biliardino, i biscotti, i supereroi e i gelati con lo stecco

Sono del 1964, appartengo all’ultima generazione in bianco e nero.
Quando ho deciso di mettermi a fare questo lavoro sono “regredito”. Sono tornato bambino, nella mia Milano dell’infanzia, la Milano di Gaber e del muro con le insegne luminose di Piazza Duomo.
Capiamoci: non vorrei tornare in quel mondo lì. Vorrei tornare a essere giovane, e lo ero in quel mondo lì. Quando entro nel mio laboratorio, inizio a giocare, e questo mi fa restare attaccato al me stesso di tanti anni fa.
A me la vita si è “rotta” a 45 anni. Ho cambiato lavoro, mi sono separato, sono venute a mancare un sacco di persone care… La mia salvezza è stata attaccarmi a delle cose. E in quell’attaccarmi mi ci sono trovato bene, e ora lo cavalco.

(courtesy: Cut – Carlo Cazzaniga)

Come tuo ritratto mi hai mandato una foto con l’omino Michelin. Mi hai scritto: «l’omino Michelin è molto importante per me». Ora sono curioso di sapere il perché.

Potrà sembrare assurdo ma è una questione emozionale.
Quando andavo in colonia ero uno dei più piccoli. Oggi credo non si faccia più, ma all’epoca passavano con degli aerei pubblicitari sopra alle spiagge. All’altezza delle boe lanciavano giù dei paracadutini con attaccati dei buoni omaggio delle aziende, che i bambini prendevano e portavano a casa, e poi si andava in drogheria a ritirarli. Poteva essere la canoa della Galbani, un pallone…
Essendo piccolo, quando arrivavo alla boa li avevano già presi tutti. Un bel giorno vedo arrivare due omini Michelin giganteschi — erano dei pupazzi con persone dentro — che camminavano per la spiaggia e distribuivano cose. Vedendomi piccolo mi diedero in mano due gadget, per assicurarsi che li prendessi, e io li abbracciai fortissimo. Da quel giorno non ho mai avuto un pneumatico che non fosse Michelin: auto, moto, bici, tutto quanto. Il massimo del risultato della pubblicità.

Su cosa stai lavorando ora?

Ho una porta piena di post-it con le idee. Appena me ne viene una, la appiccico lì.
Ora sto iniziando a immaginare qualcosa di più serio, assai diverso dagli omaggi e dalle parodie pop. Pensavo a una serie intitolata Italian Stories, per ora soltanto abbozzata, che parla delle vicende irrisolte del nostro paese: l’Italicus, Piazza Fontana, la stazione di Bologna, Moro…
È un periodo storico, quello delle stragi e degli “anni di piombo”, che, avendo vissuto a Milano in quegli anni, ho — se non toccato con mano — comunque “sfiorato” in prima persona.

(courtesy: Cut – Carlo Cazzaniga)
(courtesy: Cut – Carlo Cazzaniga)
(courtesy: Cut – Carlo Cazzaniga)
(courtesy: Cut – Carlo Cazzaniga)
(courtesy: Cut – Carlo Cazzaniga)
(courtesy: Cut – Carlo Cazzaniga)
(courtesy: Cut – Carlo Cazzaniga)
(courtesy: Cut – Carlo Cazzaniga)
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