Memory Mazes: un archivio di storie di famiglia attraverso la catalogazione degli oggetti di una casa di campagna

Una vecchia macchina da scrivere, il portasigarette d’argento, gli orologi da taschino, un secchio in rame, il ferro da stiro a carbonella, il comò “in stile” con le zampe consumate dal tempo, il “servizio buono”, la zuppiera che chissà se sarà mai stata usata davvero: sono oggetti piuttosto comuni nelle case dei nostri nonni e delle nostre nonne — bisnonne e bisnonni per chi è più giovane.
Quando poi chi li possiede, purtroppo, se ne va, in molti casi mobili e gingilli finiscono a prender polvere e ad ammuffire stipati nelle soffitte e nelle cantine, aspettando che gli anni diluiscano il senso di colpa di chi vorrebbe sbarazzarsene. Oppure prendono la via dei mercatini di seconda mano, accatastati in attesa che lo guardo di chi valuta ci appiccichi sopra un’etichetta con il prezzo. Qualche pezzo solitario, infine, raggiunge i bordi della strada, accanto a un cassonetto. In un modo o nell’altro, le storie che ci sono dietro vanno perdute, spesso per sempre.
I più fortunati tra quegli arredi, arnesi e ammennicoli, tuttavia, trovano una nuova sistemazione tra mura amiche, ospitati da chi sa esattamente da dove vengono e sa leggere ogni centimetro quadrato della patina del tempo che vi si è posata sopra, accogliendoli nel proprio paesaggio domestico come elementi di un’intima geografia della memoria, da tramandare, a sua volta, a chi vorrà scoprirne un pezzetto.

Su oggetti come questi, che hanno ancora qualcosa da raccontare, si basa il progetto Memory Mazes, realizzato dalla giovane graphic designer Barbara Foltran durante il master in Visual Communication presso la Basel School of Design di Basilea, che ha frequentato dopo la laurea triennale in Industrial Design all’Università IUAV di Venezia.
«Questo libro è nato inaspettatamente perché è stato ideato durante la prima ondata di pandemia di Covid-19, mentre mi trovavo a casa dei miei genitori» racconta Foltran, spiegando che «durante la quarantena seguivo tutte le lezioni da casa, tra cui quelle del corso di “Archive” del professor Jinsu Ahn, che ci chiese di progettare da zero un archivio a tema libero. Temevo che la mancanza di stimoli esterni si sarebbe rivelata controproducente per lo sviluppo del libro e per il mio processo creativo. Non potevo sbagliarmi di più, perché quel tempo passato a casa da sola mi ha fatto osservare con occhi diversi gli oggetti che da sempre mi circondavano. In particolare, la mia attenzione fu catturata dai cimeli di famiglia che, qua e là, si trovavano sparsi in giro per la casa».

Barbara Foltran, “Memory Mazes. I labirinti della memoria. 1890 – 1960”, progetto universitario, 2020
(courtesy: Barbara Foltran)

Aiutata da sua madre, navigatrice provetta dentro al mappa — o meglio, al labirinto — dei ricordi, Foltran ha quindi deciso che l’archivio sul quale avrebbe lavorato sarebbe stato quello costituito dagli oggetti e dagli arredi ereditati dagli avi. «Si tratta per lo più di elementi semplici, discreti e modesti» dice, «tipici dell’antica tradizione veneta contadina. Il loro timido accordarsi con gli altri mobili e il pacato tono dei loro colori non avevano mai attirato prima di allora la mia attenzione né io mi ero mai domandata della loro origine o funzione».
Sono 27 pezzi, di epoche che vanno dall’800 a circa metà del ‘900, catalogati in un libro attraverso foto, informazioni, aneddoti e ricordi, e suddivisi per zone — cucina, camera da letto, campi — e tipologia.

«Mentre catalogavo gli oggetti» rivela Foltran, «ho realizzato quanto poco conoscessi la loro storia e quella della mia famiglia. La vita dei miei antenati fu molto simile a quella di tante famiglie contadine vissute in Veneto agli inizi del Novecento. La regione all’epoca era tra le più povere d’Italia: si viveva del raccolto dei campi e dell’allevamento; le famiglie erano numerose e vivevano tutte assieme. La vita nei campi era faticosa e lo sforzo era condiviso da tutti: adulti, bambini e animali. Gli oggetti qui presenti sono cimeli di vita rurale: sono per lo più semplici, resistenti e robusti, come le persone che li usavano. Ci sono anche oggetti più recenti, risalenti agli anni ’50 e ’60. Il boom economico post-guerra portò con sé un’ondata di oggetti nuovi, pratici e leggeri. Gli oggetti vecchi e ingombranti vennero sostituiti da mobili e arredamenti comodi e modulari. Le vecchie credenze lasciarono il posto alle cucine componibili e ai primi elettrodomestici mentre i vecchi mobili vennero ripiegati in stanze di second’ordine o buttati. Chissà quante storie ciascun oggetto potrebbe raccontare, di cui poche si conoscono, ma tante si possono immaginare».

Questa caliera da polenta veniva appesa sul fuoco del camino: sfortunatamente il manico è andato perduto e solo un attacco è sopravvissuto. All’epoca la polenta era l’alimento più consumato: era infatti presente in ogni pasto, compresa la colazione. Con questa caliera la mia bisnonna paterna preparava la polenta per la sua famiglia, i suoi fratelli e zii.

Barbara Foltran, “Memory Mazes. I labirinti della memoria. 1890 – 1960”, progetto universitario, 2020
(courtesy: Barbara Foltran)

Questa macchina da cucire apparteneva alla mia bisnonna materna che la portò con sé come dote quando si sposò. Purtroppo molti elementi (tra cui il contenitore in legno) sono andati perduti e oggi non è più funzionante.

Barbara Foltran, “Memory Mazes. I labirinti della memoria. 1890 – 1960”, progetto universitario, 2020
(courtesy: Barbara Foltran)

Insieme alla toelette, questo comò faceva parte dell’arredamento della camera da letto dei miei nonni materni.

Barbara Foltran, “Memory Mazes. I labirinti della memoria. 1890 – 1960”, progetto universitario, 2020
(courtesy: Barbara Foltran)
Barbara Foltran, “Memory Mazes. I labirinti della memoria. 1890 – 1960”, progetto universitario, 2020
(courtesy: Barbara Foltran)

Questo orologio appartenne allo zio del mio nonno materno che lo comprò in Francia, dove visse e lavorò per oltre venti anni. Era molto orgoglioso di questo orologio (ancora funzionante) che lo portava sempre con sé all’interno della sua custodia. Essendo la custodia più grande di una comune tasca dei pantaloni, sua moglie doveva sempre allargargli i taschini per permettere all’orologio di entrare.

Barbara Foltran, “Memory Mazes. I labirinti della memoria. 1890 – 1960”, progetto universitario, 2020
(courtesy: Barbara Foltran)

Questo attrezzo agricolo veniva utilizzato insieme a un bastone unito ad un piccolo aratro. Il bastone era tenuto da una sola persona mentre l’attrezzo veniva trainato da una mucca o un cavallo. Serviva per fare dei solchi che permettevano all’acqua di scorrere nei campi di granturco.

Barbara Foltran, “Memory Mazes. I labirinti della memoria. 1890 – 1960”, progetto universitario, 2020
(courtesy: Barbara Foltran)

Secondo mia nonna, questo era il ritratto commissionato dal suo bisnonno e raffigura sua nonna da giovane. Altri parenti invece affermarono che non era lei, ma la verità è che non si poteva saperlo con certezza perché nessuno aveva mai visto sua nonna da giovane.
Il dipinto venne sottoposto all’occhio di un esperto che confermò che l’abito e i gioielli corrispondevano a quelli usati nei giorni importanti dalle contadine di fine Ottocento.

Barbara Foltran, “Memory Mazes. I labirinti della memoria. 1890 – 1960”, progetto universitario, 2020
(courtesy: Barbara Foltran)
Barbara Foltran, “Memory Mazes. I labirinti della memoria. 1890 – 1960”, progetto universitario, 2020
(courtesy: Barbara Foltran)
Barbara Foltran, “Memory Mazes. I labirinti della memoria. 1890 – 1960”, progetto universitario, 2020
(courtesy: Barbara Foltran)
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