Il 1º agosto del 1955 la celebre rivista LIFE pubblicava a pag. 43 un servizio dal titolo Throwaway living, cioè “vita usa e getta”. La foto che accompagnava l’articolo, commissionata a uno dei principali fotografi del magazine, Peter Stackpole, mostrava una famiglia circondata da oggetti casalinghi monouso, tra forchette, piatti, bicchieri e vassoi di plastica, pannolini usa e getta, e tovaglioli, bavaglini e vaschette da fast-food di carta.
«Gli oggetti che volano in aria in questa immagine» esordiva il pezzo, «avrebbero richiesto 40 ore per essere lavati». Ma, per fortuna, la casalinga ritratta nella foto non avrebbe dovuto occuparsene, così suggeriva il resto dell’articolo.
Quei piattini e quelle forchette, quelle ciotole per il cane e quei pannolini probabilmente oggi saranno ancora da qualche parte negli oceani, uccidendo direttamente o indirettamente la fauna marina. Oppure li abbiamo tranquillamente e inconsapevolmente ingeriti con la nostra dose quotidiana di microplastiche.

(foto: Peter Stackpole | copyright: Getty | courtesy: Vitra Design Museum)
Come l’amianto e il petrolio — ma in maniera molto più rapida: poco più di un secolo — la plastica è passata dall’essere una meraviglia della scienza, della tecnologia e del progresso a disastro potenzialmente irrimediabile per il pianeta e per la salute delle specie che lo popolano.
La “rivoluzione della plastica” prometteva oggetti a basso costo per chiunque, la democratizzazione dei consumi, una totale libertà di forme e colori (una manna dal cielo per chi progetta), una deperibilità prossima allo zero e un enorme risparmio di tempo per chi voleva sposare, appunto, lo stile di vita “usa e getta”. Le promesse le ha mantenute tutte, e proprio lì — oggi lo sappiamo bene — sta il problema.
«La plastica ha plasmato la nostra vita quotidiana come nessun altro materiale: dagli imballaggi alle calzature, dai casalinghi ai mobili, dalle automobili all’architettura. Simbolo di consumismo spensierato e innovazione rivoluzionaria, la plastica ha stimolato per decenni l’immaginazione di designer e architetti. Oggi, le drammatiche conseguenze del boom della plastica sono diventate evidenti e la plastica ha perso il suo fascino utopico»: così recita il comunicato stampa rilasciato qualche giorno fa dal Vitra Design Museum, che nella sua sede di Weil am Rhein, poco fuori da Basilea, allestirà il prossimo marzo un mostra interamente dedicata a questo meraviglioso/terribile materiale.

(courtesy: Vitra Design Museum)
Intitolata Plastic. Remaking Out World e organizzata in collaborazione con il V&A Dundee e il maat di Lisbona, l’esposizione andrà a coprire l’intera storia della plastica: dalle primissime tipologie prodotte a partire da sostanze di origine vegetale o animale (legate a doppio filo con il colonialismo e lo sfruttamento delle risorse dei paesi in cui andare ad accaparrarsi le materie prime) fino alle plastiche interamente sintetiche, nate agli inizi del ‘900. E poi le tecnologie di produzione, gli usi militari (da lì vengono, ad esempio, il nylon e il plexiglas), gli oggetti di design, i giocattoli — dai mattoncini Lego alle Barbie —, fino ad arrivare alla tardiva consapevolezza dei danni e ai potenziali scenari per la risoluzione del problema, tra riciclo, processi di pulizia degli oceani e bioplastiche prodotte con alghe e funghi, con tutte le possibilità e opportunità che oggi si aprono per chi fa scienza e chi fa design, perché la necessità di riprogettare radicalmente il modo in cui consumiamo non solo è cruciale, ma è proprio imprescindibile.
La mostra — che dopo il Vitra Design Museum farà tappa al V&A Dundee (a ottobre 2022) e poi al maat (nella primavera del 2023) — presenterà video, installazioni, documenti e oggetti, tra cui molte rarità d’epoca.

(foto: Andreas Sütterlin | copyright e courtesy: Vitra Design Museum)

(courtesy: Precious Plastic e Vitra Design Museum)

(courtesy: Precious Plastic e Vitra Design Museum)

(foto: Nicole Marnati | courtesy: Vitra Design Museum)