Ciafarél: la tesi di Mara Guerra sulla rappresentazione del Diavolo nell’arte e nella storia

Tempo fa, per un progetto da realizzare all’interno del corso di Storia dell’illustrazione durante il suo secondo anno all’ISIA di Urbino, la giovane designer Mara Guerra decise di lavorare all’analisi iconografica del diavolo, scontrandosi però contro ostacoli che non si aspettava minimamente di trovare. Se infatti chiunque di noi ha più o meno in mente un’immagine del demonio, frutto soprattutto di rappresentazioni moderne che arrivano da film, pubblicità, videogame e quel poco di storia dell’arte che si studia a scuola, Guerra a un certo punto si è resa conto che non era poi così scontato definire un modello iconografico del diavolo, e che non sarebbe bastata una tesina di poco più di sessanta pagine per andare a fondo sulla questione.

«[Attraverso quella prima ricerca] avevo fatto emergere una realtà, seppur forse inconsapevolmente, cioè la poliedricità dell’immagine diabolica, la sua continua trasformazione, il riproporsi apparentemente casualmente di momenti di rottura in cui la sua immagine è stata drasticamente rimodellata, portando a galla già delle prime motivazioni che facevano dedurre dei coinvolgimenti più grandi dei contesti di contorno, altre motivazioni, altre influenze antiche e cause scatenanti, che avevo solo sfiorato ma che mi avevano comunque lasciato con la consapevolezza, alla fine, di non essere arrivata al vero segreto della storia figurativa del Diavolo», racconta Guerra, che è originaria di Anzio, in provincia di Roma, ed è figlia d’arte — anche il padre Maurizio è grafico e ha il suo studio in casa —, quindi fin da piccola ha familiarità con “attrezzi del mestiere” come tavoli luminosi, software di disegno e impaginazione.
Dopo aver studiato al Liceo Artistico di Pomezia si è iscritta all’ISIA, dalla quale è uscita con 110 proprio grazie ai satanassi, visto che dopo quella prima ricerca l’elusività e l’ambiguità della figura diabolica hanno iniziato ad affascinarla, portandola dunque alla decisione di andare più a fondo, dedicando al demonio la sua tesi di laurea.

(courtesy: Mara Guerra)

Intitolata Ciafarél (diminutivo innocente che significa “diavoletto”, usato in ambito dialettale e probabilmente derivante da “Lucifero”), la tesi prende le mosse da due domande — «Quanti possono affermare di ricordare un’opera della storia dell’arte in cui il Diavolo compare e descriverlo con la stessa precisione che si potrebbe porre invece nei confronti di Gesù o le caratteristiche compositive che lui stesso acquisisce in scene come la Crocifissione, il Battesimo o l’Ultima Cena? Quanti saprebbero ricostruire con pochi e semplici parole l’immagine del Diavolo in un modello universale che vada ben oltre la pelle rossa, le corna ed il forcone di costruzione moderna?» — e consiste in una lunga indagine che va a toccare la storia dell’arte, le religioni e la comunicazione, in un ricchissimo saggio di oltre 400 pagine.
Sarà finita qui? Dicono che il diavolo si nasconda nei dettagli, e dato che si tratta di un concetto imprendibile, c’è sempre il rischio di andare sempre più a fondo, fino a ritrovarsi — come suggeriscono Heller e Chwast — in trappola.

Per ora comunque, il problema non sembra porsi, perché la giovane designer — cui ho chiesto di raccontarmi meglio il progetto di Ciafarél — è passata oltre: oggi, 25enne da poco, è al primo anno di una nuova laurea triennale, stavolta in storia dell’arte, presso la Sapienza di Roma, nel frattempo lavorando come progettista freelance e dividendosi tra le sue grandi passioni: la lettura, il cinema, la grafica e l’organizzazione di laboratori per l’infanzia.
«”Da grande”» dice, «vorrei aprire un luogo creativo dove poter sfruttare al massimo l’estro creativo dei bambini e spero che i miei studi di grafica condensati a quelli di arte possano darmi ottimi input per laboratori curiosi e innovativi». 

(courtesy: Mara Guerra)

Il mio progetto di tesi, dal titolo Ciafarél, nasce dalla mia passione per la storia dell’arte che vuole essere l’ambito di ricerca del progetto che si incontra ad un personale interesse nei confronti dell’analisi dell’immagine del Diavolo.
Mi sono avvicinata a quest’argomento per la prima volta al mio secondo anno di università per l’esame di storia dell’illustrazione di cui il Diavolo è stato il protagonista. Il paper prodotto aveva lasciato emergere una serie di quesiti irrisolti scaturiti dal confronto tra le rappresentazioni prese in esame che evidenziavano immagini tra loro molto differenti, che hanno portato a chiedermi, spinta da paralleli studi di iconografia religiosa, se esistesse in realtà un modello iconografico definito del Diavolo.
L’arte è stata un fondamentale strumento divulgativo, particolarmente sfruttato dalla Chiesa medievale per educare i fedeli illetterati e diffondere la propria ideologia, e in quanto tale ha dovuto adoperare un linguaggio univoco che non creasse ambiguità nell’interpretazioni delle opere, definendo una chiave di lettura unitaria attraverso l’utilizzo di modelli figurativi di personaggi religiosi nonché schemi competitivi prestabiliti e condivisi.
Difatti, nel mostrare queste opere penso che tutti siano in grado di riconoscerne i soggetti o comunque più generalmente definire in maniera univoca la tematica rappresentate. Non credo però che tutti potrebbero applicare la stessa analisi nei confronti della figura del Diavolo, riuscendo a focalizzare da zero un suo modello artistico preciso e condiviso che vada oltre l’immagine moderna del diavoletto rosso.

(courtesy: Mara Guerra)

Pur essendo il Diavolo, al pari di altri, un personaggio di indubbia importanza all’interno del panorama artistico-religioso, soprattutto medievale dove è stato più largamente impiegato, sembra non essere stato circoscritto in un modello figurativo affermato, ma tutt’al più si presenta come un essere dalle molteplici rappresentazioni tra loro discordanti.

La tesi vuole dunque indagare questa molteplicità e impossibilità di definizione analizzando e ripercorrendo la controversa storia figurativa del Diavolo (con riferimento principalmente alla figura cristiana che fa da perno alla ricerca) e arrivando a definirne l’iconografia apparentemente assente, che invece nella ricerca trova risposta non in uno ma ben quattro modelli di riferimento che danno poi forma al più iconico Diavolo moderno.

(courtesy: Mara Guerra)

Thomas Mann nel suo Faust da voce al Diavolo che dice “Il mio aspetto è puramente casuale: di volta in volta si adegua alle circostanze, senza che debba preoccuparmene.” Tale frase riassume perfettamente gli intenti e l’ottica con cui la tesi è stata portata avanti. L’analisi sottoposta infatti s’interessa di comprendere non solo come l’immagine del Diavolo si trasforma ma soprattutto perché e a causa di chi.
Sebbene la questione possa essere risolta anche con una più semplice indagine figurativa attraverso una catalogazione cronologia delle immagini, la cui analisi lascia comunque individuare i quattro modelli prima citati che ne scandiscono la storia dell’immagine in maniera soddisfacente, non tutti i quesiti esposti nell’elaborato troverebbero risposta.
Il polimorfismo del Diavolo non è infatti azionato dal caso o dal puro gusto artistico, ma da cause concrete che possono essere individuate e che giustificano ogni trasformazione ideologica e figurativa. Volendo dunque comprendere tali meccanismi di fondo si deve analizzare la figura del Diavolo in toto e in parallelo a contesti umani di contorno (politico, sociale, ideologico o economico, concetti come la morte, la paura o la libertà) che ne hanno appunto direttamente influenzato e modellato l’immagine.

(courtesy: Mara Guerra)
(courtesy: Mara Guerra)
(courtesy: Mara Guerra)

Il testo è stato dunque organizzato in tre macro sezioni che possono essere considerate anche indipendentemente le une tra le altre ma che nel loro insieme forniscono tutte le informazioni necessarie alla comprensione dell’argomento sottoposto.

La prima sezione sul male radicato è la più introduttiva delle tre e si interessa di comprendere il male come concetto e come entità, la dualità come opposizione o necessità nel campo filosofico e religioso con riferimento ai culti pagani e alle loro molteplici divinità e la visione cristiana con il suo unico Diavolo.
Ciò che in questa sede basta comprendere è che il male si pone come una necessità umana che concede all’uomo la possibilità di individuare la causa delle sue sofferenze e paure in un’entità concreta da incolpare, determinando così la creazione di una serie di entità maligne, tra tradizione e religione, che nel tempo si sono modificate rinnovandosi, scoprendo o diventando elementi di folklore.
È infatti fondamentale comprendere cos’è ciò di cui l’uomo ha paura per comprendere di cosa il maligno prenda l’aspetto. Essendo il maligno l’incarnazione delle paure dell’uomo verso ciò che non conosce, gli appare diverso o pericoloso, si capisce come questo cambi forma nel tempo in parallelo allo sviluppo dell’uomo, delle sue conoscenze e necessità.
Lo stesso Diavolo cristiano condensa in sé l’aspetto di quelle divinità pagane a lui precedenti, primo fra tutti il dio Pan, etichettate dalla Chiesa come eretiche e che divennero invero gli antenati della sua immagine, sia si per conseguenza ma anche per il tentativo della Chiesa di degradare tali divinità abbassandole al livello più infimo, quello del Diavolo.

(courtesy: Mara Guerra)

La seconda e la terza sezione dell’elaborato lavorano più in parallelo e mettono in luce rispettivamente i meccanismi e la forma, come l’opera e il suo modellatore, il perché e il come l’immagine del Diavolo si trasforma nel tempo.
Il polimorfismo del Diavolo è frutto di precise cause, premesse e conseguenze delle stesse, riferite sia qualità inalienabili alla sua natura, sia ad ambiguità di fondo e manipolazioni esterne.

Essendo trascendente e per sua natura solito a occultare il suo aspetto reale attraverso l’uso della maschera, egli è inconoscibile e dunque irrappresentabile in maniera univoca. Ma se ciò ne giustifica in parte il polimorfismo non risolve il problema riferito a quelle immagini che mostrano diavoli non solo dalla forma ma dall’essenza e gli intenti differenti.

Inoltre ciò è permesso:
• dalla coesistenza di molteplici interpretazioni del Diavolo che sono state fatte nel panorama più generico umano e più specifico cristiano, e che nel tempo si sono modificate;
• da un’ambiguità di fondo che i testi stessi cristiani riservano nei confronti del Diavolo chiamandolo con diversi appellativi e descrivendolo attraverso forme e intenti disparati, generando confusione nella sua definizione già contraddittoria;
• dalla sua non circoscrizione all’ambito religioso cristiano, da cui è presto rinnegato, segnando il Diavolo come una figura indefinita e non limitata ad un un contesto unico che lo riconosca come suo protagonista e lo definisca come entità specifica.

Tale mancanza di definizione lo determina come un blocco di creta che nel tempo è stato modellato dalle situazioni, influenzato sia dallo sviluppo delle concezioni umane, sia proprio dai contesti in cui è stato direttamente posto da terzi che, riconoscendo nella sua poliedricità e spirito camaleontico qualità perfette per veicolare un messaggio, l’hanno sfruttato per precisi scopi comunicativi politici, pubblicitari o d’intrattenimento.

(courtesy: Mara Guerra)

La terza ed ultima sezione infine s’interessa della forma, ripercorre cronologicamente la storia dell’immagine del Diavolo ed analizzandone i vari modelli individuati in parallelo a due ultimi fattori, la contestualizzazione storica che permette infatti di comprendere in che momento sociale, politico, culturale, una data figura del Diavolo è emersa, nonché alcuni testi letterari che determinano descrizioni del Diavolo da cui l’arte stessa si è lasciata ispirare.

La sezione è introdotta da una riflessione sul bello e il brutto come concetti e in riferimento al loro rapporto nell’arte e con il Diavolo. Il concetto principale che viene esposto è quello di connessione tra interiorità ed esteriorità, secondo cui le fattezze del volto si modellano sulle inclinazioni dell’anima. Un volto brutto è dunque tale perché nasconde in sé un’animo malvagio o corrotto.
Sebbene tale connessione viene poi smentita attraverso l’esempio di personaggi come Frankenstein o il Gobbo e viceversa di Dorian Gray o Grimilda, in quanto spesso la bellezza stessa diviene una maschera della realtà, è anche vero che su questo presupposto si forma l’immagine di molti personaggi come criminali, malati di mente, nemici politici e lo stesso Diavolo.
Il Diavolo è infatti rappresentato principalmente di orrido aspetto perché si ha la necessità, per esempio nel medioevo, di fare orrore. Ma nuove concezioni sia sul brutto che sul male stesso, non più considerato come entità concreta ma come forza interiore all’uomo, lo portano ad acquisire caratteristiche sempre più umanizzate e addirittura belle.

(courtesy: Mara Guerra)
(courtesy: Mara Guerra)
(courtesy: Mara Guerra)

Facendo una prima introduzione alla grezza immagine del Diavolo evidenziando l’origine pagana dei suoi attributi più iconici, ne viene infine indagata l’immagine lasciando emergere i principali momenti in cui il Diavolo è stato drasticamente cambiato dalle circostanze dando forma a quattro modelli cardine della sua immagine.

Il primo, nonché prima concretizzazione definitiva della sua immagine, si riscontra nell’orrida figura animalesca del Satana imperatore dell’inferno, formatasi nel contesto cristiano-medievale è impiegato come fondamentale strumento comunicativo di paura.

(courtesy: Mara Guerra)

Il secondo modello si determina con la concezione dell’Umanesimo sul libero arbitrio e il male interiorizzato a forza negativa dell’animo. L’immagine del Diavolo viene qui degradata alla mera decorazione, dando forma a figure come i gargoyle, e portando la Chiesa, che ne ripudia l’uso anti-didattico, a uniformarsi interiorizzandolo a sua volta ripudiandolo del tutto dalle rappresentazioni o impiegandolo alle volte in maniera velata, ombra tra le nuvole o riflesso di un anello.
A seguito di questa interiorizzazione si crea un’associazione tra uomo e diavolo, che se prima doveva avere caratteristiche opposte all’uomo per eludere ogni associazione, adesso tale connessione fa si che inizi ad acquisire caratteristiche sempre più umanizzate il cui compimento determinano il terzo momento di trasformazione.
Dapprima ancora misto tra animale e uomo, nell’Ottocento acquisisce definitivamente la bellezza dell’angelo e la forma dell’uomo facilitato da un sempre maggiore sentimento di fratellanza e solidarietà nei suoi confronti. Lucifero difatti si afferma durante un periodo segnato da eventi come la rivoluzione inglese e francese, che spingono l’uomo a vedere nel Diavolo un suo eguale, eroe che si fa portavoce della condizione umana e di cui condivide il sentimento rivoluzionario.

L’ultimo modello, infine, prende piega durante l’estetismo e ha il suo riferimento principale nella figura del dandy-esteta e alla leggende dal Faust. Tale diavolo, detto Mefistofele, è il tentatore per eccellenza, ammaliante seduttore elegantemente vestito noto per stipulare patti che prevedono l’anima come pegno.

(courtesy: Mara Guerra)

Dalle rappresentazioni per i manifesti dello spettacolo teatrale del Faust si avvia infine un processo di definizione dell’immagine del Diavolo verso quella del iconica moderna. Dapprima uomo in calzamaglia vestito di rosso diviene presto, attraverso i manifesti degli spettacoli di magia e le pubblicità di Cappiello, un malefico folletto che poi dà forma a personaggi come Zaccaria o Il ragazzo rosso.

Il Diavolo diviene infine un vero e proprio personaggio definito da caratteristiche così iconiche da risultare inconfondibili anche quando appaiono più velate, come in un ghigno. Nella sua figura si sono aggregate caratteristiche sopravvissute ai precedenti modelli che si pongono come un archivio figurativo a cui attingere e grazie al quale ogni contestualizzazione del Diavolo – figura di paura, del ridicolo, eroe ribelle, seducente tentatore – viene già definita da tali precedenti modelli, ripresi e rivisitati secondo la forma iconica, non determinando nessun nuovo momento di trasformazione.
Se per esempio ad essere descritto è un Diavolo cattivo e spietato, che si tratti di un film dell’orrore o di un cartone Disney, non sorprenderà vedere che tra corna, coda e forcone, il Diavolo prende le sembianze di un orrido mostro seduto sul trono dell’Inferno, facendo seguito a quell’idea medievale dal Satana imperatore.

(courtesy: Mara Guerra)
(courtesy: Mara Guerra)
(courtesy: Mara Guerra)

In conclusione, le possibilità di analisi di questo argomento rimangono comunque ancora vaste, le stesse che qui vengono affrontate sono indagate solo in un accenno, essenziale al fine del progetto ma comunque ancora ampliabile attraverso un discorso più indirizzato. L’introduzione di questi argomenti lascia infatti aperte più porte attraverso cui indagare un personaggio di cui, sono certa, c’è ancora altro da scoprire e da riportare alla luce.


Crediti
Studentessa: Mara Guerra
Relatore: Marco Tortoioli Ricci
Correlatore: Alessandro Carrer
Anno accademico: 2019-2020
ISIA Urbino
Diploma accademico di primo livello – Comunicazione visiva e progettazione grafica

Libro stampato e rilegato presso Tipografia Giannoli, Anzio (Rm)

(courtesy: Mara Guerra)
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