Uno zig-zag urbano per Bologna, tra antichi simboli e Grandi Dee, con CHEAP e l’artista Ivana Spinelli

«Stiamo ancora vivendo sotto il dominio di quell’aggressiva invasione maschile e solo appena iniziando a scoprire la prolungata alienazione dalla nostra autentica Eredità Europea: una cultura gilanica, non violenta, incentrata sulla Terra».
È un piccolo frammento estratto dal saggio Il linguaggio della Dea, dell’archeologa e linguista lituana Marija Gimbutas, autrice di numerosi e importantissimi studi sulla mitologia, i linguaggi e l’organizzazione sociale delle civiltà europee dal neolitico all’età del bronzo.
Secondo Gimbutas, fino a prima del V millennio a.C. in Europa, nell’odierna penisola turca e nella Creta minoica esisteva una cultura devota alla Grande Dea e fondata su un pacifico ed equilibrato sistema sociale né patriarcale né matriarcale. La studiosa lo descrisse come una gilania, usando un termine coniato dalla sociologa statunitense Riana Eisler (gy- da gynè, “donna”, an- da anèr, “uomo”, con la l a fare da legante).
Tale cultura sarebbe stata poi spazzata via da quella che Gimbutas chiama cultura kurgan (parola che in russo significa “tumulo”, dato che dei tumuli coprivano le tombe degli uomini più importanti), sviluppatasi nel medio e nell’alto bacino del Volga. Patriarcale e guerrafondaia, la cultura kurgan «cambiò inevitabilmente il corso della preistoria europea», mettendo fine «alla cultura dell’Europa Antica tra il 4300 e il 2800 a.C., trasformandola da gilanica in androcratica e da matrilineare in patrilineare».

Non so se sia stata la frase che ho citato all’inizio a risuonare nei pensieri dell’artista marchigiana Ivana Spinelli (l’ho riportata perché a me, effettivamente, ha smosso qualcosa), nota a livello internazionale per i suo lavori multidisciplinari attorno ai temi del corpo, del femminile e del femminismo. Ad ogni modo, qualche anno fa, mentre era in Sardegna per una residenza artistica, le sue ricerche hanno incrociato per un fortuito caso quelle compiute anni prima da Gimbutas.
«È stata una sorta di visione. Quando ho trovato il linguaggio della grande dea mi è sembrato fosse qualcosa che cercavo da tempo. Andare indietro, alle origini, e vedere che le origini sono diverse da come ce le aspettavamo», ha raccontato Spinelli.

(foto: Margherita Caprilli | courtesy: CHEAP)

Quell’incontro e quella visione hanno generato un progetto chiamato Zig Zag Protofilosofia, nato nel 2017 e attualmente ancora in corso, sviluppatosi proprio a partire dalle teorie della studiosa lituana e dai tanti simboli che questa ha raccolto in molti anni di ricerche, identificando le decorazioni presenti in numerosi antichi reperti non come meri ornamenti ma come simboli della Dea.
«La stupefacente ripetizione di associazioni simboliche nel tempo e in tutt’Europa su ceramiche, statuette e altri oggetti di culto mi ha convinta che si tratta di molto più che “motivi geometrici”: devono appartenere a un alfabeto del metafisico» scrive infatti Gimbutas nel succitato saggio, presentando, tra gli altri, V, M, zig-zag e disegni chevron, legati al culto della Dea.

Da quei segni Spinelli — che oggi insegna scultura all’Accademia di Belle Arti di Bologna — è partita per una serie di opere che attraversano i linguaggi, tra sculture mobili o indossabili, incisioni, disegni e persino sticker da usare su Whatsapp.
Come scrive Emanuela Zanon sulla rivista Juliet, parlando del progetto dell’artista, quel sistema di segni «perse la valenza di linguaggio e riuscì a sopravvivere in uno stato latente come pattern decorativo» per tramandare «sino ai nostri giorni l’inconscio residuo di quell’antica civiltà così insidiosamente diversa dai nostri stereotipi».
Oggi, dunque, quei simboli parlano al nostro inconscio, ed è esattamente su questo che gioca il progetto di arte pubblica con cui le inarrestabili attiviste di CHEAP hanno portato in strada parte di Zig Zag Protofilosofia, stampando quelle V e quegli zig-zag su manifesti affissi in giro per Bologna.

(foto: Margherita Caprilli | courtesy: CHEAP)

L’installazione si intitola Oh, my Goddess! urban zigzag ed è — per citare il comunicato — «Una caccia alla dea, un percorso ebbro, un detournement, un attentato semiotico, il tentativo di pettinare la storia contropelo».
Cosa si scatena nel rimettere in circolazione quegli antichi segni? Cosa dicono a chi passa e non sa nulla del lavoro di Spinelli, delle teorie di Gimbutas e della Grande Dea?
Il fascino di un’iniziativa del genere è proprio questo: nascondere in bella mostra messaggi importanti, stimolare domande, e vedere l’effetto che fa.

P.S.
Domani, sabato 18 dicembre, si potrà fare una passeggiata urbana insieme all’artista. L’appuntamento è in via Sant’Apollonia, all’angolo con via San Vitale, alle ore 11,30.

(foto: Margherita Caprilli | courtesy: CHEAP)
(foto: Margherita Caprilli | courtesy: CHEAP)
(foto: Margherita Caprilli | courtesy: CHEAP)
(foto: Margherita Caprilli | courtesy: CHEAP)
(foto: Margherita Caprilli | courtesy: CHEAP)
(foto: Margherita Caprilli | courtesy: CHEAP)
(foto: Margherita Caprilli | courtesy: CHEAP)
(foto: Margherita Caprilli | courtesy: CHEAP)
(foto: Margherita Caprilli | courtesy: CHEAP)
(foto: Margherita Caprilli | courtesy: CHEAP)
(foto: Margherita Caprilli | courtesy: CHEAP)
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(foto: Margherita Caprilli | courtesy: CHEAP)
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