Nel 1913 l’Association of American Painters and Sculptors organizzò una mostra che passò alla storia col nome di Armory Show, mutuato dal luogo che ospitava l’evento, l’Armeria del 69º Reggimento, a New York. Fu quell’esposizione a lanciare ufficialmente il Modernismo in un paese — gli Stati Uniti — che fino a quel momento aveva considerato arte solo ciò che presentava un certo grado di realismo, e che in quel momento si trovava invece davanti, insieme alle opere di artiste e artisti autoctoni (tra cui Hopper, Stella, Sheeler), le sperimentazioni avanguardistiche di nomi come Picasso e Picabia, Duchamp e Kandinsky, Brâncuși e Braque, Matisse, Léger e Toulouse-Lautrec.
All’epoca l’Armory Show non venne accolto da un unanime entusiasmo, ma la scossa elettrica che produsse nelle arti visive e plastiche statunitensi si riverberò per decenni.

(foto e copyright: Hugh Gilbert)
A quella mostra partecipò, da spettatore, anche il giovane Edward Kauffer.
Cresciuto nel Montana — allevato perlopiù dalla madre, che divorziò quando lui era ancora piccolo —, Kauffer iniziò a disegnare prestissimo, e a tredici anni aveva già abbandonato la scuola per fare da apprendista a diversi pittori di paesaggi. In seguito andò in California, dove passò un paio di anni a lavorare come libraio e a studiare presso la California School of Design. Da lì si spostò Chicago per frequentare l’Art Institute, e proprio a Chicago l’Armory Show fece tappa dopo New York.
Kauffer aveva ormai 23 anni e l’impatto con l’arte europea durante quella seminale mostra fu per lui cruciale: una volta scoperta “la nuova arte”, volle andare a vederla e a studiarla sul posto.
Grazie alla generosità di uno sponsor — un professore che conobbe mentre era ancora in California, Joseph McKnight — Kauffer riuscì a pagarsi un viaggio nel Vecchio Continente. Da quel momento si fece chiamare Edward McKnight Kauffer, aggiungendo il secondo nome in omaggio al suo mecenate.
Arrivò dunque a Parigi in quello stesso 1913, dopo una tappa a Monaco, in Germania, dove rimase incantato dalla bellezza e dalla potenza dei manifesti che vedeva per le strade.
Rimase nella capitale francese per circa un anno, durante il quale frequentò la Académie Moderne e cominciò a lavorare come pittore di scenografie teatrali. In città conobbe una giovane pianista, americana come lui, Grace Ehrlich. I due si innamorarono e presto si sposarono, ma con lo scoppio della Prima guerra mondiale decisero di trasferirsi a Londra. Qui Kauffer cercò lavoro come artista commerciale — così venivano chiamati i graphic designer dell’epoca — e, dopo molti rifiuti, riuscì finalmente a conquistare la fiducia di Frank Pick, il responsabile della pubblicità delle London Underground Electric Railways.

(foto: Matt Flynn | copyright e courtesy: Smithsonian Institution)
Nel 1915 uscì il primo poster firmato da Kauffer, che rimase a Londra, lavorando per diversi anni sia come designer commerciale che come pittore, sposando le avanguardie artistiche britanniche. L’attività artistica, tuttavia, non durò a lungo. Nel 1920 smise di dipingere e l’anno successivo tornò negli Stati Uniti, abbandonando la moglie, che nel frattempo aveva data alla luce una figlia Ann.
L’idea di Kauffer era tentare di continuare la sua carriera a New York. Non ci riuscì, e nel ’22 era di nuovo nel Regno Unito, dove restò fino al 1940, stavolta in compagnia di una nuova fiamma, la designer tessile Marion Dorn, che sarebbe poi diventata la sua seconda moglie.

(copyright e courtesy: Van Vechten Trust)
In terra britannica, Kauffer era molto conosciuto: lavorava per aziende, teatri e case editrici, e le sue opere venivano esposte in diverse mostre. Era ammirato sia dagli addetti ai lavori che dal pubblico, irresistibilmente attratto dai suoi manifesti, le sue copertine, le sue pubblicità, le illustrazioni che univano le sperimentazioni dell’arte “alta” alla comunicazione visiva del mondo dei consumi.
Quando decise di riattraversare per l’ultima volta l’oceano e stabilirsi definitivamente in America, dopo un iniziale periodo difficile continuò a lavorare anche lì, fino alla fine dei suoi giorni, che giunse nell’autunno del 1954.
Mai del tutto dimenticato eppure mai davvero celebrato post mortem — perlomeno non quanto avrebbe meritato — oggi Edward McKnight Kauffer è al centro di una grande mostra organizzata presso il Cooper Hewitt, Smithsonian Design Museum di New York, curata da Caitlin Condell, curatrice associata a capo del dipartimento Drawings, Prints & Graphic Design del Cooper Hewitt, e dalla dottoressa Emily M. Orr, assistente curatrice di design moderno e contemporaneo, sempre nel medesimo museo, con l’aiuto di Caroline O’Connell e Kristina Parsons.

(copyright e courtesy: Merrill C. Berman)

(copyright e courtesy: The Museum of Modern Art/Licensed by SCALA / Art Resource, NY)

(foto: Matt Flynn | copyright e courtesy: Smithsonian Institution)
Intitolata Underground Modernist: E. McKnight Kauffer (il titolo gioca sia sui suoi tanti lavori per la metropolitana sia per l’ispirazione presa dalle avanguardie) e inaugurata il 10 settembre scorso, si tratta della più grande esposizione che sia mai stata dedicata a Kauffer.
Divisa in 10 sezioni cronologiche, presenta lavori più o meno conosciuti, realizzati sia in ambito artistico che commerciale, andando anche ad approfondire la complessa biografia dell’uomo, diviso tra due continenti, tra le luci e le ombre di uno dei periodi più convulsi dell’ultimo secolo.
Ad accompagnare la mostra, allestita fino al 10 aprile 2022, c’è anche un bel catalogo di quasi 300 pagine, pubblicato da Rizzoli Electa.

(copyright e courtesy: Merrill C. Berman Collection)

(foto: Matt Flynn | copyright e courtesy: Smithsonian Institution)

(foto: Matt Flynn | copyright e courtesy: Smithsonian Institution)

(foto: Matt Flynn | copyright e courtesy: Smithsonian Institution)

(foto: Matt Flynn | copyright e courtesy: Smithsonian Institution)

(foto: Matt Flynn | copyright e courtesy: Smithsonian Institution)

(foto: Matt Flynn | copyright e courtesy: Smithsonian Institution)

(copyright e courtesy: The Museum of Modern Art/Licensed by SCALA / Art Resource, NY)

(copyright e courtesy: Victoria & Albert Museum, Londra)