Se il Covid fosse una serie Tv

S1 – Il morbo

La prima stagione, ammettiamolo, ci ha colto di sorpresa. È stato tutto nuovo e al tempo stesso stranamente familiare. La frase che ho sentito ripetere più spesso è stata: sembra un film di fantascienza.
In breve: arriva un morbo misterioso, gli scienziati in principio si dividono tra chi sostiene che si tratti di una banale influenza e chi suona le campane a morto della civiltà.
Dopo le prime puntate, è chiaro che si tratta di una pandemia e il governo decide di chiudere in casa la nazione aspettando che il morbo evapori da sé.
In modo un po’ incoerente, alcuni degli scienziati dubbiosi della prima ora passano tra le file dei radicali sostenitori della letalità del virus, senza nessuna spiegazione logica, ma vabbé.
Qua e là, c’è qualche spunto folkloristico interessante: la gente che batte le mani sul balcone di casa, i vigili urbani che danno la caccia a quelli che escono col cane, e poi le mascherine che non si trovano, quelli che cominciano a fabbricarne con delle pezzette che trovano in casa.

Illustrazione di Alessandra Bruni

Resta un mistero come un personaggio marginale come Giuseppe, con quella voce nasale e monocorde e il parrucchino attaccato male, conquisti il consenso del pubblico e soprattutto le fantasie erotiche delle donne. De gustibus.
Per tutta la stagione gli scienziati sono abbozzati in modo grossolano. Il loro principale contributo è cercare ostinatamente il fatale “paziente zero” (io me lo immaginavo con la maschera di Teschio Rosso o di Doctor Doom).
Già dopo le prime settimane la serie comincia a zoppicare visibilmente. La trovata di riempire le case di riposo di pazienti positivi per far salire i contagi è forse l’escamotage più riuscito, anche se alla fine, è con il lockdown che la serie decolla veramente, tanto che dopo l’ipotetica scadenza, non trovando gli sceneggiatori niente di meglio, viene prolungato praticamente fino a fine stagione.
Il finale purtroppo è loffio e torna a confermare tutti i dubbi che avevo su questa serie. Insomma: arriva l’estate, riapre tutto, tutti contenti come se non fosse successo niente? Non so, mi sarei aspettato qualcosa di più.

S2 – La seconda ondata

Il secondo capitolo di questa saga sanitaria riprende sulle ceneri della precedente, con pochissime prospettive di arrivare alla fine della stagione.
Nelle prime puntate, le scuole riaprono con banchi speciali, perché gli studenti possano mantenere le distanze. Non si è mai capito a cosa servano, a questo proposito, le rotelle. Ovviamente i banchi sono in ritardo, scoppiano polemiche, ma è tutto comunque ininfluente sulla trama perché, quando escono da scuola, i ragazzi stanno ammucchiati uno sopra l’altro senza che nessuno se ne impippi minimamente.
Le prime puntate si trascinano pigramente, poi cominciano ad aumentare i contagi, aumentano i ricoveri, chiudono di nuovo le scuole, chiudono le regioni e tra una cosa e l’altra passa Natale. Bizzarramente, per quanto sciapa, l’idea di rinnovare il lockdown con una formula diversa (solo alcuni negozi chiusi, il coprifuoco serale, eccetera) fa presa sul pubblico.

Illustrazione di Alessandra Bruni

Per scongiurare però il flop che si annuncia già dai primi giorni dell’anno nuovo, la seconda parte della stagione si apre con due novità: l’arrivo dei vaccini e contemporaneamente delle varianti del morbo.
Nel frattempo, due dei personaggi principali della serie vengono sostituiti. Giuseppe esce di scena e al suo posto entra Mario, che sinceramente, con quella faccia da iguana di malumore, è se possibile ancora meno interessante.
Anche Domenico viene licenziato, un po’ in sordina (brillante l’idea dell’indagine per peculato) e sostituito da Francesco Paolo, un personaggio in cosplay da alpino.
Sebbene parta svantaggiato, l’alpino guadagna il favore del pubblico e ottiene un certo seguito. I litigi tra eminenti virologi dei social, pro-vax, no-vax e forse-vax fanno il resto, portandoci stancamente alla fine della seconda stagione.

S3 – L’antidoto

La terza stagione di questa serie, alla quale in principio nessuno dava più di due settimane, è la riprova che certe volte, per ottenere successo, basta semplicemente insistere.
Si può dire che la longevità della serie si appoggi su pochi punti cardine: la totale incompetenza scientifica degli sceneggiatori e la diffusa, inaspettata, sospensione di incredulità del pubblico che, abbandonandosi a corpo morto, si lascia trascinare, letteralmente in balìa delle onde. Gli scienziati continuano ad essere assolutamente improbabili, ma piacciono. Lo stesso si può dire della maggior parte degli altri personaggi che si muove in modo totalmente incoerente e improvvisato.

Illustrazione di Alessandra Bruni

Se nella prima serie il nemico era l’incognita del morbo (e il fantomatico “paziente zero”), e la seconda era costruita sulla corsa contro il tempo per trovare il vaccino, in questa terza il nemico è semplicemente “chi non si vaccina”.
La nuova stagione si apre con una nuova, inedita (e un po’ puerile) limitazione di libertà. Archiviati il lockdown e il coprifuoco, la nuova trovata è il green pass: documento necessario per mangiare in un ristorante, entrare al cinema, prendere un intercity o andare a scuola. La novità scatena la solita ridda di reazioni: tutti ricominciano a litigare un po’ su tutto. Nel frattempo, arriva l’autunno e riaprono le scuole.

Cosa aspettarci dalla terza serie?

Difficile da dire. L’idea delle varianti era buona, ma forse è stata un po’ sprecata.
La durata arbitraria del green pass è un escamotage che promette bene, per creare complicazioni. I no-vax che ordiscono piani sediziosi con la credibilità di un bambino di 8 anni però, fanno nuovamente precipitare le aspettative che questa serie possa davvero tornare a sorprenderci.

Cosa manca, secondo me

  1. I nani, senza dubbio. A un certo punto, ci vogliono sempre i nani in una serie.
  2. Un personaggio femminile forte. E con la benda sull’occhio come Nick Fury.
  3. Degli sceneggiatori che conoscessero la differenza tra la parola “epidemico” ed “epidemiologico”.
  4. Degli autori di meme più fantasiosi: quello su Pfizer e il Viagra non si può più sentire.
  5. Una macchina del tempo. I paradossi temporali funzionano sempre per incasinare le serie al punto che alla fine ti piacciono proprio perché non ci capisci niente.
    Io poi vorrei vedere un episodio con tipo Hitler, Gesù e Giulio Cesare che discutono della terza dose di Astra Zeneca con Gene Gnocchi.
  6. What if: è un po’ l’ultima spiaggia delle serie in crisi, ma perché no?
    Pensate a cosa succederebbe se…
    • … arrivasse una variante del virus che si diffonde con i peti?
    • … si scoprisse che per curarsi bastava fare degli sciacqui con l’acqua frizzina?
    • … il ministro della sanità avesse una laurea in medicina?
Illustrazione di Alessandra Bruni
L'illustrazione di questo articolo è di Alessandra Bruni

Le illustrazioni di questo articolo sono di Alessandra Bruni

Ha 23 anni ed è illustratrice e tatuatrice.
Dopo il liceo ha studiato Antropologia Culturale a Bologna e nel 2021 ha frequentato Mimaster, a Milano.
Fino al 15 ottobre trovate le sue opere esposte al Pop Start, nuovo spazio artistico multifunzionale situato nel centro storico di Mantova. 
La parola chiave è “osare”.

editorialista
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