«Quando arrivai in Italia, gli industriali affidavano ancora la pubblicità a illustratori e pittori. Siamo stati [io e Max Huber, ndr] tra coloro che hanno introdotto qui la grafica moderna, l’immagine coordinata aziendale, che è poi un misto di architettura d’interni e industriale, di design e di pubblicità».
Così il grande Bob Noorda raccontava i suoi esordi italiani, in un “clima” progettuale ancora molto arretrato ma pieno di stimoli e ormai pronto a recepire un nuovo modo di fare comunicazione e a gettare le basi di quell’Italian Style che avrebbe poi fatto fortuna all’estero e contribuito a rinnovare anche il modernismo americano.
Era il 1954 (forse) quando Noorda, allora un giovane grafico con poca esperienza, scese per la prima volta alla stazione Milano.
All’epoca aveva circa 27 anni, e nei mesi precedenti si era fatto le ossa in un piccolo studio pubblicitario di Amsterdam, dopo due o tre anni passati in una scuola di design e arti applicate — l’IVKNO, sempre nella capitale olandese — e aver speso, prima ancora, più di tre anni della sua vita nell’esercito, in missione in Indonesia, che al tempo era una colonia olandese.
«Tra noi girava voce che a Milano si respirasse un’aria molto stimolante, Milano era la città della Triennale, la città dove stava nascendo il grande design; così ho preso un treno e…» disse poi Noorda, che senza parlare una parola d’italiano e conoscendo un po’ di inglese e qualcosa di francese e tedesco, riuscì a ottenere un lavoro nello studio pubblicitario Bellavita. Cominciò con il restyling dei Pavesini, con il logo con la forma del celebre biscotto.
Quello fu il primo successo di una lunga carriera costellata di progetti che sarebbero poi finiti nei libri della storia della grafica, nei musei, nei corsi universitari di tutto il mondo: i manifesti per Pirelli, la segnaletica della linea 1 della metropolitana di Milano, il logo e l’immagine coordinata di Mondadori, la segnaletica della Metropolitana di New York (con Vignelli), l’identità coordinata di Agip, il marchio di olio Cuore, del Touring Club Italiano, di Coop, di Feltrinelli (con Salvatore Gregorietti), di Longanesi, Garzanti e Tea, quello della Regione Lombardia (con Sambonet e Tovaglia) con la rosa camuna — «Abbiamo scelto diversi temi da approfondire» spiegò Noorda, «e in particolare Leonardo da Vinci, il simbolo della croce, i Visconi e il loro biscione, l’aquila. […] Non eravamo soddisfatti, finché a un certo punto Sambonet, rientrato da un weekend in Val Camonica, ci disse di aver trovato cose molto interessanti, e ci condusse a fare un passo indietro, fino alla preistoria della Lombardia».
Progetti che Noorda raccontò, insieme a frammenti della propria vita professionale e personale, in una lunga serie di interviste realizzate tra il 2008 e il 2009 dal designer milanese Francesco Dondina durante tre mesi di incontri, ogni mercoledì, alla stessa ora, nello studio del grande maestro.
Quelle chiacchierate vennero raccolte in un libro, Bob Noorda. Una vita nel segno grafica, pubblicato nel 2009 — un anno prima della morte del designer — dalla Editrice San Raffaele, e negli anni diventato un volume quasi indispensabile per chi studia o lavora nel campo della grafica.
Da tempo andata fuori catalogo, l’opera torna ora in una nuova edizione, pubblicata da Lazy Dog e fortemente voluta da Francesco Ceccarelli, art director della casa editrice e co-fondatore dello studio di progettazione Bunker, che ha lavorato al design editoriale del volume.
Uno dei motivi per cui è nata l’idea di ripubblicare Una vita nel segno della grafica — ha spiegato Ceccarelli durante la presentazione del libro in un bell’incontro online con Dondina e con Marco Tortoioli Ricci (fondatore di BCPT e presidente di AIAP) — è stato proprio quello di «dare uno strumento ai giovani studenti». Presupposto che fu anche alla base del progetto originario di Dondina, subito sposato da Noorda che, ormai anziano, teneva molto a lasciare la sua testimonianza ai giovani progettisti e alle giovani progettiste.
«Mezza Italia è caratterizzata da sistemi di segni ideati da te: dai mezzi di trasporto alle stazioni di servizio, dai grandi magazzini alle case editrici. Hai contribuito a dare forma a imprese e prodotti nei settori più diversi, tanto che ti si incontra ovunque. Ti fa effetto pensarci?» chiede a un certo punto Dondina.
«Direi di sì… Un buon effetto» risponde Noorda, che nel corso delle interviste spazia in lungo e in largo: dal folgorante incontro con i rivoluzionari concetti del Bauhaus — «Venivo da una famiglia piuttosto borghese, e l’incontro con quei docenti del Bauhaus mi condusse a un radicale cambiamento nel modo di pensare», rivelò Noorda — all’Italia in pieno fermento degli anni ’50 e ’60, dal periodo Pirelli e Rinascente al lavoro sulla Metropolitana di New York, fino ai progetti degli ultimi anni di attività, attraversando oltre mezzo secolo di storia della grafica e della cultura industriale.
Appaiono anche tante figure chiave: Max Huber, Munari, Boggeri, Gregorietti, Illiprandi, Pintori, Sambonet, Tovaglia, Sottsass, Franco Albini, Albe Steiner, Gio Ponti, Italo Lupi, Anty Pansera, e poi Adriano Olivetti, Enrico Mattei, Giangiacomo Feltrinelli, Giorgio Armani. E infine Vignelli, già socio e amico, che nel 2010, dopo l’uscita del libro e in occasione della scomparsa di Noorda, inviò a Dondina un testo, che ora appare in chiusura di questa nuova edizione e si conclude con questa frase, che è anche la perfetta recensione per un volume che dipinge un splendido ritratto dell’uomo Noorda, oltre che del professionista: «Il suo esempio rimarrà un faro per tutti noi».
184 pagine, con diverse illustrazioni raffiguranti alcuni tra i più celebri progetti del tre volte Compasso d’Oro (ma Noorda ne vinse anche un quarto alla carriera), Bob Noorda. Una vita nel segno della grafica si acquista online e nelle migliori librerie.