Qualche anno fa ebbi il privilegio — grazie all’editore Franco Cosimo Panini — di intervistare dal vivo uno dei più grandi autori per l’infanzia a livello mondiale, il francese Hervé Tullet. Eravamo all’Accademia di Belle Arti di Bologna e il pubblico era composto quasi esclusivamente da adulti, perlopiù insegnanti, educatrici e bibliotecari, che per quasi due ore stettero ad ascoltare in un religioso silenzio l’ex pubblicitario cresciuto in Normandia — passato dal mondo delle agenzie al vendere milioni di copie dei suoi libri, tradotti in decine di paesi — raccontare la sua storia, il suo metodo di lavoro, le idee, le ispirazioni, la genesi di un libro.
Al termine della lunga discussione, Tullet prese in mano quello che all’epoca era il suo nuovo libro (Oh! Un libro che fa dei suoni), si alzò in piedi, si avvicinò alla platea e, volume in mano, più che mostrarlo e raccontarlo si mise a “giocarlo”, e con una partecipazione tale da coinvolgere l’intero pubblico in quella divertita e divertente performance.
Nonostante tutto il tempo passato a chiacchierare del suo lavoro, fu in quel preciso momento che mi fu davvero chiaro perché le opere di Tullet hanno successo: c’è il fatto di conoscere benissimo il suo pubblico — quello dei bambini e delle bambine —, certo. E una vastissima conoscenza dei principi e dei meccanismi del mondo della comunicazione e della dimensione ludico-didattica. Ma più di ogni altra cosa il “segreto” che sta dietro alle creazioni dello scapigliato autore francese è che lui stesso è il primo a divertirsi.
Dentro ai limiti fisici di un libro riesce ad aprire un territorio sconfinato in cui progetto e gioco parlano la stessa lingua, in cui quella dell’autore è una presenza chiaramente percepibile non solo tra le pagine ma anche al di fuori di esse, come fosse accanto ai lettori e alle lettrici a spassarsela allo stesso modo.
Questa attitudine all’abbattere i confini la si ritrova, ben evidente, anche in un prodotto come L’atelier del disegno, pubblicato da Franco Cosimo Panini proprio a inizio pandemia, mentre Tullet lanciava mostre da appartamento e si metteva a rompere la “noia da quarantena” con una indimenticabile serie di video.
Composto da un blocco per disegnare, con 64 fogli già in parte “macchiati” dall’autore (eccola la presenza, che non funge solo da esempio e da guida ma anche da «toh, c’è un foglio bianco e non posso proprio trattenermi dal colorarlo») e da 8 plance con 250 sagome da staccare, l’Atelier non ha e non dà istruzioni. È l’esatto contrario della “pappa pronta” che spesso si ritrova in pubblicazioni simili.
Si può fare quello che si vuole: le forme — che vanno dal figurativo all’astratto, dagli animali e le piante agli scarabocchi — le si può utilizzare come stencil o magari come personaggi di una storia. O, ancora, insozzarle tutte per farci dei timbri. In questo genere di attività bambine e bambini non hanno bisogno del manuale, e se c’è uno che sa sguinzagliare la creatività delle piccole menti, quello è proprio Tullet.
Basta aprire la scatola e sembra già di vederlo, divertirsi un mondo a crearla tanto quanto a giocarci.