Le grafiche dei tombini giapponesi in un libro del designer francese Thomas Couderc

Ne calpestiamo a decine ogni giorno, solitamente senza minimamente accorgerci della loro presenza, a meno che non ne troviamo uno aperto per lavori in corso, e allora fantastichiamo di affascinanti visite nel sottosuolo, richiamando alla mente un immaginario fatto di rapine leggendarie, distopie con popoli che abitano nei canali fognari, grandi fughe letterarie o cinematografiche.
Sono quelli che noi chiamiamo tombini o chiusini, e in Giappone prendono il nome di manhoru, un termine che deriva chiaramente da quello inglese, manhole (uomo + buco, etimologia tanto semplice quanto evocativa).

Negli ultimi anni, attraverso centinaia di articoli apparsi in rete, qui in Occidente abbiamo scoperto che le città giapponesi ne hanno di bellissimi, con disegni che vanno ben oltre l’uso comune delle decorazioni solitamente geometriche e stilizzate alle quali siamo abituatз, e che hanno lo scopo di aumentare la presa, sia delle gomme che dei piedi, in modo da evitare, soprattutto quando il fondo è bagnato, scivolate e slittamenti non voluti.

Thomas Couderc, “Manhoru”, Éditions FP&CF, dicembre 2020 (courtesy: Thomas Couderc / Helmo)

Come spiega il designer francese Thomas Couderc, è solo dalla fine del ventesimo secolo in Giappone hanno iniziato a diffondersi i tombini decorati che oggi possiamo vedere per le strade del paese e online. Negli anni ’80, infatti, meno della metà delle abitazioni erano allacciate ai canali fognari comunali. A quel punto «il governo decise di avviare l’ammodernamento della rete di distribuzione dell’acqua e dei servizi igienico-sanitari, portandola sottoterra in modo da ampliare le corsie di circolazione in superficie», scrive il designer nell’introduzione di Manhoru, un libro dedicato ad alcune tra le più belle e interessanti decorazioni che campeggiano sugli chiusini del paese del Sol Levante.

«Davanti al ​​costo dei lavori e all’ampiezza dei cantieri, però, — aggiunge Couderc — i consigli comunali e le popolazioni locali erano riluttanti ad affrontare un’impresa del genere, visto che si trattava di opere invisibili. Per contrastare questa resistenza, a un alto funzionario è venuta l’idea che i tombini dovessero essere abbelliti o dotati di volti e disegni figurativi, pur salvaguardandone le proprietà funzionali. Di conseguenza, i cospicui investimenti dei comuni sono diventati visibili sulla superficie delle strade, con la comparsa di quei singolari oggetti di design urbano. Il loro aspetto estetico rendeva così i manufatti accettabili».
Grazie a un articolo di The Japan Times sappiamo anche il nome di quel funzionario: Yasutake Kameda.

Thomas Couderc, “Manhoru”, Éditions FP&CF, dicembre 2020 (courtesy: Thomas Couderc / Helmo)

Co-fondatore, insieme a Clement Vauchez, dello studio Helmo, di base alle porte di Parigi, Couderc ha cominciato a raccogliere le grafiche dei tombini durante un viaggio in Giappone e poi ha proseguito online.
In Manhoru — pubblicato dalla casa editrice indipendente Éditions FP&CF, specializzata in arti visive e fanzine — il designer ha tradotto le immagini in grafiche in bianco e nero, in una sorta di lavoro inverso rispetto a quello originario, che dal disegno passa allo stampo e poi un bassorilievo.

«Laggiù, in Giappone, i tombini giocano con i segni: prendono vita, a volte assumono colori vividi e ci permettono di vedere paesaggi prospettici, strade illuminate da lanterne, terrazzamenti coltivati a riso, vigili del fuoco dall’aspetto giovanile, elefanti che spengono fuochi o frutta e verdura umanizzate. Attraverso quelle bocche di oscurità, i pozzi neri artificiali e i loro cattivi odori sembrano venire in superficie sotto forma di creature attraenti o mostruose. Secondo la leggenda, il pesce gatto gigante strabico namazu dimora nelle viscere fangose ​​della terra, provocando a volte un terremoto. I tombini, coperti di segni che proliferano sulla superficie delle strade, pullulano di spiriti che sembrano essersi rifugiati nei loro solchi, permettendo così di udire l’eco distante dell’animismo shintoista», scrive ancora Couderc.

Nel libro — 128 pagine, prodotto in offset e con sovraccoperta stampata in nero opaco con tanto di ologramma — sono raccolte circa 100 grafiche, selezionate dall’autore insieme a Maxime Milanesi, uno dei fondatori di Editions FP&CF.
Manhoru si può acquistare online.

Thomas Couderc, “Manhoru”, Éditions FP&CF, dicembre 2020 (courtesy: Thomas Couderc / Helmo)
Thomas Couderc, “Manhoru”, Éditions FP&CF, dicembre 2020 (courtesy: Thomas Couderc / Helmo)
Thomas Couderc, “Manhoru”, Éditions FP&CF, dicembre 2020 (courtesy: Thomas Couderc / Helmo)
Thomas Couderc, “Manhoru”, Éditions FP&CF, dicembre 2020 (courtesy: Thomas Couderc / Helmo)
Thomas Couderc, “Manhoru”, Éditions FP&CF, dicembre 2020 (courtesy: Thomas Couderc / Helmo)
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