Il fondatore del noto account Instagram sta supervisionando una serie di “filiali” locali. Quella italiana, curata da Giulia Galassi e Filippo Papa, è stata la prima, seguita da Regno Unito, Usa, Belgio, Giappone e Polonia.
Sono in contatto via Twitter con Richard Baird da più di un anno, ormai. Più o meno dall’uscita del primo numero speciale di LogoArchive, la fanzine che il designer e giornalista britannico ha fondato nel 2018 come prolungamento fisico dell’omonimo account Instagram (@LogoArchive), seguito da oltre 160.000 persone e diventato in pochi anni un importante punto di riferimento per la comunità internazionale di progettisti grafici, grazie a un’instancabile ricerca storico-estetica sui logotipi di scuola modernista, che Baird recupera da pubblicazioni d’epoca e poi digitalizza, pubblicandoli online in un ormai riconoscibilissimo bianco su nero.
Sull’onda dell’ottimo successo delle fanzine, che solitamente vanno esaurite dopo poche settimane dall’uscita, negli ultimi mesi l’intero progetto ha subito una forte accelerata: prima il lancio di una sezione del negozio online dedicata a riviste e libri vintage, selezionati tra quelli della collezione personale di Baird, e in seguito la nascita di un vero e proprio “programma internazionale”, battezzato LogoArchive.International.
Si tratta di un’iniziativa che — come mi ha spiegato Baird prima su Twitter e poi via mail — «intende costruire ponti e catalizzare la conversazione attorno alla produzione culturale delle singole nazioni, fornendo alle varie squadre di lavoro locali l’accesso al grande archivio di LogoArchive per dar loro modo di mettere in piedi delle comunità vivaci. Questo nuovo programma potrebbe quindi essere inteso come un processo incrementale di decentralizzazione di LogoArchive, con l’intenzione di consentire alle persone di tutto il mondo di presentare la loro storia del design dal proprio punto di vista».
Via social, Baird ha quindi cominciato a reclutare persone interessate a collaborare. Sono arrivate anche dall’Italia, che è stato il primo paese ad essere coinvolto — «non c’è da stupirsi, l’Italia ha una fantastica reputazione in fatto di design grafico, ed il luogo perfetto per iniziare. C’è una grande eredità culturale ed è giusto condividerla», ha chiosato Baird.
A fine agosto è nato logoarchive.it, gestito da due giovani designer: Giulia Galassi, oggi professionista freelance dopo aver studiato all’Università degli Studi di San Marino e poi al Politecnico di Milano, e Filippo Papa, che si è laureato all’Università IUAV di Venezia ed è co-fondatore dello studio Banale.
«Richard aveva fatto un tweet a proposito della volontà di creare delle “sottopagine” di LogoArchive che fossero più approfondite per ciascun paese, cercando designer volontari interessati al progetto. Sia io che Filippo, che non ci conoscevamo, abbiamo risposto positivamente», mi ha raccontato Galassi.
Nei giorni successivi hanno preso vita anche i profili delle altre nazioni: Regno Unito, Stati Uniti, poi Polonia, Belgio e Giappone, ciascuno con la propria identità cromatica e gestito da piccole squadre locali.
Galassi mi ha anche detto che si è già creata una mini-comunità tra tutti i collaboratori e che l’iniziativa è aperta a quanti volessero dare una mano: «siamo sempre aperti a contributi, che valutiamo con il team che si è venuto a creare».
Prossimamente — annuncia Baird — apriranno anche le “filiali” di Canada e Messico ma il desiderio è quello di espandersi ulteriormente e supportare anche le iniziative dei singoli paesi. «Col tempo, si spera, utilizzeranno Instagram Stories e IGTV come spazi liberi in cui condividere la cultura visiva del loro paese, e magari produrre le proprie fanzine e organizzare eventi» si augura il fondatore.