Solos: un invito a rallentare e osservare

Ogni giorno la città offre uno spettacolo unico e irripetibile. Da prima dell’alba fino a notte fonda, l’ideale spettatore può affacciarsi sul palcoscenico di una via, una piazza o un incrocio osservando piccoli frammenti delle vite di chi vive o lavora lì oppure è solo di passaggio, ascoltando schegge di dialoghi, rumori, solitari monologhi. Gli abiti della gente, il linguaggio del corpo, gli edifici che si trasformano ora dopo ora — la luce che li colpisce, finestre che si aprono e si chiudono —, un improvviso scroscio di pioggia o una folata di vento che alterano in un attimo l’intero assetto della scena… Il tutto senza dover pagare alcun biglietto.

Ed è proprio questo il problema: dopo anni in cui amministrazioni, di destra e di sinistra in egual maniera, hanno dimostrato di voler mettere a reddito di ogni singolo centimetro quadrato di spazio pubblico e abbracciato subdole politiche anti-degrado, modificando gli arredi urbani a colpi di cosiddette “architetture ostili” (l’incessante battaglia per il decoro — che consiglio di approfondire nel bel saggio La buona educazione degli oppressi di Wolf Bukowski — è uno dei tanti volti della fredda violenza del potere), le città stanno diventando via via più inospitali nei confronti di chi — turista o autoctono — non consuma, non spende il proprio tempo in maniera produttiva ed efficiente, e addirittura ha la faccia tosta di dare il cattivo esempio nullafacendo senza vergogna davanti a tutti.

Chi si ferma o semplicemente rallenta, in un mondo che vive all’insegna della velocità, entra immediatamente nel novero degli individui sospetti: elementi potenzialmente facinorosi, parassiti da allontanare dal corpo sano (in realtà ormai irrimediabilmente malato) del vivere civile.
Osservare, nella sua variante autoritaria del controllare, è un diritto che il potere arroga a sé soltanto, attraverso i suoi rappresentanti in divisa e la sempre più onnipresente video-sorveglianza.

Chi si ferma o semplicemente rallenta, di nuovo, è oggi un possibile nemico. Anche l’artista, dunque, lo è. Come Gabriella Marsh, illustratrice e animatrice di base a Londra che ha recentemente messo online un cortometraggio d’animazione intitolato Solos, frutto di un periodo passato a Barcellona e realizzato come tesi finale al Royal College of Art, dove Marsh si è laureata nel 2019.

«Solos è un film sul tempo che passa», spiega l’artista, che è partita dagli schizzi disegnati dal vivo attorno a una piazzetta del quartiere Gràcia, nella zona Nord della metropoli catalana, provando a ottenere, attraverso l’animazione, il medesimo effetto del disegnare dal vero.
«È una celebrazione delle persone che osservano», dice Marsh, «e un invito a rallentare e prendere nota dei cambiamenti che avvengono costantemente nei luoghi in cui viviamo».

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