Ghénos Communication, agenzia di PR, comunicazione e press office fondata da Gabriella Del Signore nel 1996, specializzata nei settori furniture design, architettura e real estate, rappresenta in Italia il brand svizzero USM da oltre vent’anni. Un bel giorno, qualche mese fa, arriva dalla casa madre una richiesta piuttosto singolare: far compilare a architetti, curatori, giornalisti influenti del settore “una dichiarazione sulla sfera”, il giunto in acciaio sul quale ruota e si configura il noto sistema modulare di arredamento USM Haller. Scopo della dichiarazione certificare l’identità e notorietà del pezzo metallico, sottrarlo all’anonimato, riconoscergli una paternità.
Tra i professionisti-amici che mi viene in mente di coinvolgere c’è Guido Musante con il quale proprio in quelle settimane avevo avuto modo di commentare la storia radicale dell’azienda svizzera che — non dimentichiamolo — ha soli tre prodotti a collezione da più di cinquant’anni. In particolare Guido ben metteva a fuoco il concetto di non autorialità di un prodotto diventato a tal punto icona da entrare a far parte della collezione permanente di design del MoMA di New York. Diligentemente, Guido, che nel momento di ricezione del file si trovava a Mosca, compila la dichiarazione e ce la rispedisce. Evidentemente, però, resta in lui la percezione-sensazione di aver svolto un compito insolito. Da questo retro-pensiero scaturisce uno scritto in forma di divertissement che mi raggiunge mentre sono in treno, un venerdì pomeriggio, proprio di ritorno da Berna dove avevo trascorso un’amabile giornata in compagnia dei mobilieri svizzeri.
Leggo il pezzo, mi piace e mi sorprende, e penso che sarebbe bello farlo pubblicare e illustrare. Ma dove? E da chi? Chiamo Simone Sbarbati. Ci sta. Chiamo Sara Vivan. Ci sta. USM Haller come nessuno l’ha raccontato mai. Solo su Frizzifrizzi.
La sfera di giunzione in ottone cromato, brevettata nel 1965, è l’elemento centrale su cui si basa la costruzione del sistema modulare di arredamento USM HALLER prodotto dal gruppo svizzero USM. Ad essa vengono congiunti i tubi di collegamento (anch’essi in acciaio cromato) che servono per creare la struttura portante del mobile, che risulta estremamente resistente alla pressione e alla trazione, e nella quale vengono poi inseriti i pannelli di rivestimento in metallo verniciato, disponibile in quattordici colori e tre diversi materiali: lamiera d’acciaio verniciata a polvere, metallo perforato e vetro.
La sfera di giunzione in ottone cromato, brevettata nel 1965, è l’elemento centrale su cui si basa la costruzione del sistema modulare di arredamento USM HALLER prodotto dal gruppo svizzero USM. Ad essa vengono congiunti i tubi di collegamento (anch’essi in acciaio cromato) che servono per creare la struttura portante del mobile, che risulta estremamente resistente alla pressione e alla trazione, e nella quale vengono poi inseriti i pannelli di rivestimento in metallo verniciato, disponibile in quattordici colori e tre diversi materiali: lamiera d’acciaio verniciata a polvere, metallo perforato e vetro. I sistemi di arredamento USM Haller consistono in una serie di moduli combinabili e configurabili liberamente, ideali per l’arredo dell’ufficio e dell’abitazione privata. Apparso per la prima sul mercato nel 1965, il sistema è caratterizzato da una grande trasversalità e da un disegno elementare. La straordinaria flessibilità permette variazioni dimensionali sia in verticale, sia in orizzontale e consente la costante riconfigurazione degli arredi e il relativo adeguamento al mutare dei layout di uffici e abitazioni. Con l’esposizione nella collezione permanente del Museum of Modern Art (MoMA) di new York nel 2001 USM Haller riceve lo status di icona del design moderno.
Laurea con Lode in Architettura a Genova, Dottore di Ricerca in Urbanistica a Venezia e nipote del primo progettista Ducati, in rispetto al nome gui(domus)ante per anni scrive in anonimo per una nota rivista di design. Una circostanza che lo porterà a firmare articoli su tante altre riviste, a fondarne una per l’Istituto Strelka di Moska e a inaugurare al Politecnico di Milano un Corso di comunicazione creativa che studia nuovi format editoriali fondati sulla teoria della “Inversione Concettuale”: la stessa applicata in ambito commerciale dall’Agenzia “1972-2791”. Dopo i libri Un Bosco Verticale e No Form e la mostra Supercolla, è oggi tra i Curatori della Triennale di Milano.
Sara Vivan
Sara Vivan è nata a Milano, dove vive, nel 1971. Dopo il diploma in Fashion Design allo IED di Milano ha lavorato per Aspesi (per la linea Comme des Garçonnes), per Blumarine (per la linea Anna Molinari) e per Alberto Biani. Ha poi frequentato l’Accademia di Nudo a Brera e si è dedicata all’illustrazione. Ha pubblicato per Valentina Edizioni, Einaudi Ragazzi, San Paolo Edizioni. Selezionata al Nami Concours Island nel 2019. Per Contrastobooks pubblica a giugno 2019 Gerda Taro, la sua prima graphic novel. A dicembre 2019 illustra Lampadina e Basello di Giovanna Castiglioni per Corraini Edizioni. Pratica con passione la calligrafia giapponese e il Tai Chi Chuan.
Alessandra Noto
Laurea in Filosofia e Master in Comunicazione Integrata d’Impresa. Matura 15 anni di esperienza ricoprendo ruoli di supporto strategico alla comunicazione, produzione contenuti e business development, nel settore architettura e design, sia all’interno di agenzie e studi internazionali, fra i quali Paola Navone e Antonio Citterio Patricia Viel & Partners, sia all’interno di start up e a fianco di professionisti emergenti. Sviluppa progetti di advocacy e SCR laddove ravvisa il bisogno di richiamare l’attenzione pubblica su temi eticamente rilevanti e urgenti. Safe Ski Project con Associazione Maestri di Sci della Valle d’Aosta. Nei panni di Me con Cooperativa Sociale Minotauro Onlus Milano e Camera Minorile di Milano.
Il dialogo
In circa 15 anni di attività — che non son moltissimi ma neanche pochi, visto che penso di aver raccontato qualche decina di migliaia di oggetti, prodotti o sistemi — credo sia stata la prima volta che mi sia trovato a redarre la carta di identità di uno di loro. Se ne estrapolo l’inizio e la fine (un po’ liberamente tradotti in italiano), la Declaration on the ball assume un tono ai limiti del surreale, amplificato da una lingua che richiama l’involontaria comicità insita nella nostra burocrazia più puntigliosa.
«Io sottoscritto, Guido Musante, nato a Genova nel 1972 e di professione architetto, curatore e critico del design, dichiaro che la palla è caratterizzata, a mio avviso, da una forma speciale e da uno stile insolito: in effetti, la sua forma innovativa si è contraddistinta sin dal suo lancio sul mercato italiano, e la differenzia in modo significativo da tutti gli altri prodotti disponibili sul mercato; ragion per cui la palla costituisce un riferimento diretto al Gruppo (omissis) e come tale viene utilizzata e percepita».
Eppure, osservando nel profondo degli occhi filettati quel piccolo volto inossidabile, non posso non sentirmi totalmente assorbito da una spirale di pensieri, che paiono dire:
Non vengo da un altro pianeta: sarò nata in piena Guerra Fredda e sembrerò piovuta dal cielo, ma solo oggi ho messo su 127 negozi in Cina, un paio di migliaia di arredi in giro per l’Europa, oltre 50mila mobili in giro per il mondo, e la libreria bassa del tuo salotto.
Solo oggi ho messo su 127 negozi in Cina, un paio di migliaia di arredi in giro per l’Europa, oltre 50mila mobili in giro per il mondo, e la libreria bassa del tuo salotto.
Effettivamente. Ma che bisogno c’è di dirlo?
Si fa presto a dire: che bisogno c’è. “Passami lo Scotch”, giusto? “Mamma, mi ha rubato il Lego”, corretto?
Ok, “prendimi il libro sulla USM”, oppure “USMiamo la parete e siamo a posto”, beh non mi pare proprio che si dica, ancora. Magari lo si pensa, ma intanto io a oltre 60 anni — lo so non dovrei dirlo, non lo sospetterebbe nessuno — ancora non ho il riconoscimento di un banale bullone. Ma come si fa a pensare che non ho più carattere di un bullone? Non ho forse un’identità, che occorre una carta da far firmare, in un’epoca in cui qualsiasi banale lampada o cavatappi si presentano con nomi da Re e Regine?
Io a oltre 60 anni — lo so non dovrei dirlo, non lo sospetterebbe nessuno — ancora non ho il riconoscimento di un banale bullone.
Capito. Ma guarda che c’è un fraintendimento. Neanche le cellule da cui è formato il mio corpo hanno un nome, eppure se non ci fossero io non esisterei proprio, e quindi non avrei neanche un nome, figurati tutto il resto. Lampade e cavatappi fanno finta di essere umani; viti e bulloni sono come gocce d’acqua (possono dissetare tutti, ma non appartengono a nessuno). Tu sei una specie di via di mezzo: una goccia d’acqua con dentro un mondo, pronto a uscire fuori.
A me pare il contrario.
Ok, era una metafora. Anzi no: non lo era. Perché ogni volta che a uno come me viene l’idea di avvitare un’asta nel tuo nodo, è perché, osservandoti, è venuta fuori un’idea, che poi si è piantata dritta dritta sulla sfera che sta proprio sopra il nostro collo.
Ogni volta che a uno come me viene l’idea di avvitare un’asta nel tuo nodo, è perché, osservandoti, è venuta fuori un’idea, che poi si è piantata dritta dritta sulla sfera che sta proprio sopra il nostro collo.
…
Sarà meglio che tu non esageri, o avrò bisogno io di una nuova carta d’identità.
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