Affacciati alle finestre, ciascuno di noi ha una propria visuale sul mondo. In senso letterale, intendo. Ci ho pensato molto, in questi giorni. Magari ce ne dimentichiamo perché le finestre dalle quali osserviamo quel che accade sono più spesso quelle fatte di pixel dei browser e dei social network, ma le nostre città e i nostri paesi sono ora perlopiù fatti di teste dietro ai vetri. E cosa vedono quelle teste? Ho rimuginato anche su quello, al punto da chiedere a quelli che sentivo al telefono — «dove t’affacci? (sentinella, sentinella,) che vedi?» — e immaginare altre visuali, altri affacci: sul fiume, su un bosco, su una grigia zona industriale, su un angusto cavedio.
In termini metaforici, ma non per questo meno concreti, in realtà la prospettiva che ognuno di noi ha davanti è interamente coperta da un muro. Un muro fatto di notizie, numeri, bollettini, ansie, bufale, opinioni e opinionisti, commenti, commenti sui commenti e commenti sui commenti dei commenti. Su quel muro c’è chiaramente scritto Covid-19 e non facciamo che sbatterci contro, senza pensare ad altro, senza vedere altro, senza parlare d’altro.
Eppure dietro a quella che ora sembra un’insuperabile, colossale e smisurata barriera, si muovono e brulicano altre crisi, complesse e interconnesse tra loro. La principale è quella ambientale e climatica, al vertice dell’emergenza permanente in cui siamo immersi.
Si moltiplicano analisi e previsioni su possibili soluzioni da adottare per scampare alla catastrofe: una specie di giorno del giudizio che incombe sulle nostre vite, da evitare cambiando drasticamente modelli di consumo e stili di vita.
Nonostante questo genere di discorsi abbia il merito di porre l’attenzione su una delle questioni centrali della nostra epoca, esso rischia di alimentare una indiretta ma pericolosa autoassoluzione del sistema che ha portato alle molteplici catastrofi disseminate intorno e dentro di noi.
In altri termini, proiettare nel futuro la catastrofe presuppone una sottovalutazione sistematica delle irreversibili piaghe ambientali, sociali e psichiche – che affondano le proprie radici nel sistema capitalistico – che attraversano le nostre società, ritraendole come elementi secondari, residuali e in fondo (tras)curabili.
Così scrivono i fondatori di 045 Zine, collettivo di autoproduzioni editoriale di base a Verona (ne ho parlato qui) che ha deciso di dedicare il prossimo numero della loro rivista proprio al concetto di catastrofe.
In questa fase stanno cercando materiali da pubblicare, in forma di reportage giornalistico, reportage fotografico, saggio o racconto, illustrazione e grafica.
Tutte le informazioni per partecipare sono qui.
La deadline è fissata al 31 maggio 2020.