Da Milano al Portogallo e ritorno: la storia di “A mala de cartão”

In una strana inversione dei ruoli ora è Zazie che manda a me link a progetti che le piacciono, suggerendomi che dovrei «scriverci qualcosa».
Io ovviamente — e garibaldescamente —, «obbedisco!», ed eccomi qua a parlare di una piccola realtà che produce artigianalmente borse e zaini: A mala de cartão.

Dietro al marchio, a dispetto delle apparenze linguistiche, c’è una ragazza italiana: Marta Urio. E quando l’ho contatta per saperne di più, Marta mi ha mandato un vero e proprio racconto.
Le persone che mi mandano informazioni sul loro lavoro solitamente si dividono in tre categorie: c’è chi non vuole spiegare più di tanto, chi non sa spiegare e chi invece mi delizia coi più piccoli particolari. Non ho una categoria preferita, perché l’avere pochi elementi talvolta mi spinge a divertirmi nella ricerca e nell’interpretazione. Altre volte, invece, i tanti spunti permettono di fare discorsi più ampi e provare a regalare al lettore quel “qualcosa in più” che, quando è possibile, si cerca di dare.

Marta, però, appartiene a una quarta categoria, quella di chi si racconta talmente bene che provare a parafrasare, lasciando il testo originale a prender polvere virtuale nell’archivio della casella di posta, mi pare un delitto.
Quindi ho deciso di pubblicarlo così com’è: perché è una bella storia, perché dentro ci sono varie “lezioni di vita” e di piccola imprenditorialità, perché le belle creazioni di Marta sono indissolubilmente legate al suo percorso, e perché, infine, la sua “voce” ha il timbro speciale di chi, quel qualcosa in più, riesce a mettercelo sempre.


(courtesy: A mala de cartão)
(courtesy: A mala de cartão)

A mala de cartão: storia del viaggio di una valigia di cartone

di Marta Urio

«Hai paura dei cani?» mi chiedono.
«No» rispondo, «al contrario, mi piacciono molto».
«Bene perché noi ne abbiamo tre. Allora perché non ci vieni a trovare? Lo dovresti vedere il Portogallo! E poi a noi potrebbe anche servire qualcuno che ci dia una mano, potremmo provare a vedere come va…».

Questa conversazione avviene in una lingua in cui la voglia di capirsi impasta assieme un po’ di portoghese, italiano e spagnolo, ed è qui che tutto ha inizio.
Sto facendo uno dei tanti lavoretti temporanei nella mia città natale, Milano, e sono in uno di quei famosi momenti cruciali, in cui ci si trova a chiedersi cosa si vuol fare della propria vita. Ho nel cassetto una laurea in lettere presa da poco ma, immaginando il futuro, continuo a pensare che la mia felicità debba passare per un lavoro che sia frutto delle mie mani, e da qualche tempo inseguo il sogno un po’ rinascimentale di poter “andare a bottega” da un bravo artigiano.

I proprietari dei tre cani sono una coppia portoghese che conosco durante una fiera natalizia in cui sto lavorando. Loro hanno una compagnia teatrale di marionette —Particulas Elementares — di cui mi mostrano i lavori: io me ne innamoro immediatamente e, in un momento in cui mi sembra di avere tutto da provare e poco da perdere, preparo le valigie e sono pronta a partire pochi giorni dopo. In fondo si tratta solo di un viaggio, mi dico, lungi dall’immaginare di andare incontro a quasi tre degli anni più felici che ricordi.

(courtesy: A mala de cartão)

Così si potrebbe dire che ci arrivo quasi per caso in Portogallo — se si è tipi da credere al caso — ma forse si tratta appunto del mio personalissimo Fado: il destino. Il Portogallo mi conquista da subito con la sua bellezza semplice e apparentemente dimessa, in anni in cui ho la fortuna di conoscere un paese forse un po’ decadente ma ancora autentico e quasi sconosciuto al turismo.
Trovo la mia splendida bottega, dove inizio a collaborare con i miei nuovi amici, da cui ho tantissimo da imparare. Attorno a me un mondo nuovo in cui ogni angolo mi appare carico di bellezza, e le ispirazioni sono ovunque: da quel museo di pattern a cielo aperto che sono le azulejos, fino ai vecchi tesori che si possono scovare nelle feiras das velherias (i mercatini delle pulci e antiquariato) dove accompagno i miei amici a caccia di materiali teatrali e, quasi senza accorgermene, inizio la mia collezione di valigie di cartone.

Quando dopo questa prima fantastica esperienza mi trasferisco nella città di Porto per provare a dare vita a qualcosa di mio, la scelta di un nome fiorisce quasi spontaneamente: A mala de cartão, la valigia di cartone.
La valigia di cartone mi pare immediatamente un oggetto non solo bello ma anche ricco di storie e di significati: elemento legato al teatro, simbolo del viaggiatore e contenitore un po’ magico degli oggetti che segretamente custodisce. Inoltre, nella povertà dei materiali con cui è fatta, possiede quella caratteristica fondamentale di “bellezza semplice”, in tutto simile al Portogallo e allo spirito di quello che voglio provare a creare.

(courtesy: A mala de cartão)

Dal mio apprendistato portoghese ho ereditato il gusto per la sperimentazione come metodo operativo, e anche nella mia formazione di autodidatta procedo per tentativi talvolta bizzarri: smonto le cose ipotizzando come possano essere fatte, provo a rifarle, inventando variazioni mie. Lo strumento protagonista è già comunque la macchina da cucire. Le prime borse sono produzioni tecnicamente semplici, mentre inizio a giocare più che altro con materiali e accostamenti di colori e pattern. Fin dal principio quella per pattern e tessuti è la mia vera ossessione, e la loro “caccia” è da sempre una parte fondamentale del mio lavoro: li cerco ovunque se ne presenti l’occasione, nella mia città, e spesso in viaggio, tornando con valigie ricolme dei miei tesori.
A Porto A mala de cartão fa il suo primo esordio in pubblico, iniziando a partecipare regolarmente al Mercado Porto Belo un market di artigianato che è tuttora una piccola chicca in città.

Dopo gli anni portoghesi la vita mi riporta in Italia, dove inizialmente dubito di poter continuare, ma invece A mala de cartão qui rinasce nuovamente. Sono gli anni in cui anche in tutta Italia inizia a emergere una fiorente realtà di maker e di mercatini di settore prima inesistenti, e s’inizia a sentir parlare del fenomeno di un nuovo artigianato rilanciato dai giovani.

(courtesy: A mala de cartão)

Tutt’oggi porto avanti il mio progetto continuando a concedermi la possibilità di sperimentare, magari lottando un po’ contro il tempo, ma la parte di ricerca e il piacere che ne deriva sono per me d’importanza vitale in un mestiere che deve fare anche tanto i conti con la ripetizione. Cerco e provo materiali nuovi e, ad esempio, non lavorando la pelle per scelta, all’uso dell’eco-pelle si affianca il “tessuto di sughero” (che da mezza sarda-portoghese sento mi appartenga molto), diventando un elemento caratterizzante del mio lavoro.

Il resto della mia ricerca si muove tutto nel tentativo di affinare una semplificazione, che senza stare a scomodare le belle e famose parole di Munari, resta cosa non banale. Il desiderio di una sempre maggiore semplicità e pulizia visiva incrocia, in anni più recenti, anche l’amore per l’estetica giapponese, dando vita alla piccola collezione chiamata Mokuzai (木材, legno).
Ispirati a una soluzione proveniente dall’arredamento giapponese (una libreria con sistema di cardini fatti con tessuto), in questa serie di zaini ricorro a pattern molto essenziali e introduco l’elemento del legno, in un sistema di chiusura che trovo elegante nella sua essenzialità.

(courtesy: A mala de cartão)
(courtesy: A mala de cartão)

La volontà di provare tecniche nuove e l’antico amore per i pattern, mi porta a creare a un’altra linea, in cui stampo io stessa i tessuti in block printing con piccole matrici di legno. Qui sperimento letteralmente il concetto di pattern come motivo che si ripete. La scelta di stampare a mano è legata alla precisa intenzione di ottenere una texture “perfettamente imperfetta”, mai uguale, che anche la serigrafia mi precluderebbe. Battezzerò auto-ironicamente questa scelta un po’ masochista chiamando la linea Mantra, per richiamare la natura ripetitiva di un processo di stampa piuttosto lungo.

Continuo a inseguire la semplicità — estetica e funzionale — progettando le più recenti borse/zaino, in cui cerco la sintesi anche nel senso di un solo prodotto che aspira ad essere allo stesso tempo duplice. Le linee rimangono volutamente di un design molto semplice, lasciando parlare pattern, colori e il sistema di spallacci che permette la trasformazione.

(courtesy: A mala de cartão)
(courtesy: A mala de cartão)
(courtesy: A mala de cartão)

Questo mestiere insomma per me è fatto di tanti tentativi, piccole conquiste e lotte personali, ma fortunatamente anche condivise. Da un po’ di anni, infatti, il mio spazio di lavoro si trova all’interno di un coworking creato con due amici e i loro brand (Karibu Jewels e Woollo) con i quali abbiamo anche costituito un’associazione, Cortile68, che organizza market ed eventi volti alla promozione del mondo artigianale. Questi eventi rimangono momenti preziosi e belli in cui — accanto all’importanza di un mondo di vendita online — si vive dell’incontro con altri artigiani e le loro storie, con un pubblico al quale si ha la possibilità di far toccare con mano e raccontare quello spirito che, nel mio biglietto da visita, ho affidato a questo verso di Pessoa: «metti ciò che sei nel minimo che fai».


A mala de cartão è anche su Instagram, e tutte le creazioni di Marta si possono acquistare su Etsy.

(courtesy: A mala de cartão)
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