Tra gli anni ’50 e gli anni ’70 furono molti gli antropologi, gli etnologi e i documentaristi a occuparsi dell’Italia del Sud. Una parte di quei lavori di ricerca si focalizzava sui riti religiosi, impregnati di magia e paganesimo, mandando in onda, sui canali della Rai, filmati che mostravano “un’altra Italia”, nella quale il tempo sembrava essersi fermato, in un’epoca in cui, invece, lo sviluppo economico galoppava a tutta velocità e la società andava riconfigurandosi, in mezzo a contraddizioni e tensioni anche aspre tra spinte modernizzatrici e resistenze tradizionaliste.
In quei documentari — quando mi è capitato di vederne qualche spezzone — a rimanermi impressi, più che i riti in sé, erano i volti. Quelle espressioni, tra l’estasi religiosa e il dolore, tra la possessione e il deliquio, mi affascinavano e mi spaventavano, come capita con ciò che non si riesce ad afferrare fino in fondo.
Le stesse fisionomie si ritrovano, per tutt’altre ragioni, nei volti ritratti da Eren Saracevic nella serie fotografica Modern Prayers, realizzata nella Città Proibita di Pechino con i turisti intenti a scattare foto.
«Sono stato in Cina per tre settimane, questa primavera. Mentre visitavo la Città Proibita c’erano turisti dappertutto. Ho cominciato a guardare le gente attorno a me e a fare foto. Ne ho fatta una a una donna che cercava di scattare col suo telefono ma aveva qualcuno davanti a sé che le copriva la visuale. Ho notato che sembrava stesse pregando. Poi ho visto che tutti quelli lì attorno stavano facendo lo stesso. Era una cose piuttosto folle. Così le successive due ore le ho passate a fare ritratti di questo tipo ed ecco com’è nata questa serie», mi ha raccontato Saracevic, che in passato abbiamo ospitato più volte nella nostra rubrica Flickr/Week(r).
Classe 1987, originario di Sarajevo ma di base a Barcellona, in Spagna, Saracevic è un pluripremiato art director ma anche un ottimo fotografo. Proprio mentre studiava grafica ha cominciato a usare la fotocamera e, appassionato di fotografia documentaria, ha cominciato ad applicare ai suoi scatti i principi del graphic design e della direzione artistica.
«La street photography è come la caccia (non ho mai cacciato ma immagino che debba essere così). Non sai cosa troverai, quando vai in giro da solo devi essere molto concentrato, devi pensare a tutto quello che hai attorno e, nel momento in cui senti di aver scovato qualcosa che potrebbe diventare una bella foto, cercare il miglior approccio all’obiettivo e poi prenderlo», dice il designer. Che aggiunge: «suppongo che questa sia la ragione per la quale fotografo. Mi dà modo di spiegare il mondo attorno al me, dal mio punto di vita. Questa serie, Modern Prayers, è un buon esempio di come, pensando come un art director mentre spontaneamente scatti foto documentaria, possa farti arrivare a idee interessanti».