(foto: Michele Lapini | courtesy: Michele Lapini / CHEAP)

Global WarNing: i cambiamenti climatici arrivano a Bologna

Chi ha visto la riduzione cinematografica de Il signore degli anelli ricorderà la scena in cui gli Ent, i “pastori di alberi”, decidono di schierarsi e scendere in guerra.
Millenarie e pazienti creature arboriformi, gli Ent parlano poco e lentamente, e sembrano poco interessate agli eventi del mondo tutt’attorno. Poi, grazie a due Hobbit che furbescamente ne portano uno fino ai confini della foresta, scoprono la devastazione naturale che ha causato lo stregone Saruman, ed è in quel momento che, colmi di inedita furia, gli Ent marciano contro il nemico.

Talvolta bisogna sbattere il muso contro la realtà per svegliarsi. Ed è proprio questo l’intento di Global WarNing, un progetto che da giovedì 18 aprile, a ridosso della Giornata Mondiale della Terra (22 aprile), sarà visibile negli spazi di pubblica affissione in via Irnerio, a Bologna, mostrando — su una delle arterie più trafficate della città — le conseguenze dei cambiamenti climatici, del riscaldamento globale, dello sfruttamento del territorio. E lo fa con esempi concreti, lampanti e, soprattutto, a due passi da casa nostra — l’importanza di sbatterci il muso, appunto.

Michele Lapini, “Global WarNing”, CHEAP street action, Bologna, via Irnerio
(foto: Michele Lapini | courtesy: Michele Lapini / CHEAP)

Abituati a vedere immagini di rive oceaniche devastate, pesci intrappolati nella plastica, deserti che avanzano, calotte polari che si sciolgono, ci dimentichiamo spesso che l’ambiente non ci sta presentando il conto solo nei luoghi “esotici”, e il fotografo Michele Lapini, che da anni lavora su questi temi, è qui per ricordarcelo con Global WarNing, nato grazie alla collaborazione con CHEAP — realtà di attivismo culturale di base a Bologna ma conosciuta a livello internazionale —, che di materiali sui quali sbatterci il muso ne ha affissi in quantità, senza timore di incendiare il dibattito su alcuni tra i temi più caldi e divisivi, scatenando non solo discussioni ma anche prese di coscienza da parte di chi, finché non è finito col naso contro uno dei manifesti, aveva preferito fare come gli Ent e starsene al sicuro nella propria foresta di convinzioni.

Classe 1983, originario della Valdarno e di base a Bologna, Lapini ha un enorme portfolio che spazia dai progetti sociali ai concerti, ma lavora principalmente come fotogiornalista, da quattro anni collabora con la redazione bolognese della Repubblica, da altrettanto documenta tutto il lavoro di CHEAP, e le sue foto sono uscite su testate come il Guardian, Vice, Internazionale, il Corriere della Sera, Le Monde Diplomatique.
Per saperne di più su Global WarNing l’ho raggiunto al telefono per fargli qualche domanda.

* * *

Michele Lapini, “Global WarNing”, CHEAP street action, Bologna, via Irnerio
(foto: Michele Lapini | courtesy: Michele Lapini / CHEAP)

Cominciamo dal titolo, che gioca su Global Warming e Global Warning.

Non è un gioco di parole originale ma mi è venuto in mente quando sono andato ad Asiago, dove nell’ottobre del 2018 un tornado ha abbattuto qualcosa come 350.000 alberi. Girando per i boschi distrutti, in mezzo al silenzio si sentiva l’urlo della natura che stava uccidendo sé stessa. Era un grido d’aiuto.

So che le foto in mostra sono solo una piccola parte di un progetto molto più grande, chiamato Antropocene.

Sì, che a sua volta è nato un po’ per caso.
Mi sono sempre occupato di temi ambientali e il primo lavoro del generato è stato Cemen-Ti-Amo, per far vedere l’amore che, come paese, abbiamo per il cemento. È un progetto che va avanti da 10 anni. Quando trovavo qualcosa, andavo e fotografavo, dagli esempi più eclatanti come gli ecomostri a tutti quei casi di cementificazione molto impattante ed evidente. Il consumo di suolo ci sta divorando in maniera piuttosto silenziosa.

Michele Lapini, “Global WarNing”, CHEAP street action, Bologna, via Irnerio
(foto: Michele Lapini | courtesy: Michele Lapini / CHEAP)

Da lì poi ti sei occupato di ambiente in molti progetti.

Sì, ma è da un paio di anni a questa parte che ho iniziato a rendermi conto di come tutte queste serie non siano affatto slegate.
Lessi, in un articolo di Internazionale, del concetto e della definizione di antropocene e ne rimasi colpito. Capii quindi che potevo dare una cornice unica a tutti quei lavori che stavo portando avanti.
Il mio Antropocene è un progetto di lungo periodo, tuttora in svolgimento, che però negli ultimi tempi ha subito un’accelerazione, dovuta allo stesso svolgersi degli eventi. Se finora il tema dei cambiamenti climatici era spesso rimasto ai bordi della conversazione pubblica, ora è letteralmente esploso. Anche chi fino ad oggi non se ne era mai interessato, ora dice la sua, creando anche molta confusione su un tema che invece avrebbe bisogno di chiarezza.

Michele Lapini, “Global WarNing”, CHEAP street action, Bologna, via Irnerio
(foto: Michele Lapini | courtesy: Michele Lapini / CHEAP)

Come ti sei avvicinato a queste tematiche?

Ho studiato cooperazione internazionale ed economia dello sviluppo. Nei cinque anni — tre a Firenze e due a Bologna — ho anche approfondito molto le questioni ambientali. Ho fatto una tesi sull’agricoltura e sul diritto alla terra, argomento che per me è molto importante perché vengo da una famiglia che, pur in un contesto operaio, ha sempre avuto la terra: la casa in campagna, l’orto, facciamo l’olio. Questo forte legame mi ha portato ad interessarmi a tali tematiche.
Attraverso le fotografie, e le storie che esse raccontano, cerco sempre di far emergere i lati problematici, gli aspetti “brutti”, se così vogliamo chiamarli: quelli che spesso non interessano a nessuno. O meglio: non “interessavano”, perché ora è un argomento che si è fatto sempre più pressante e siamo costretti ad interessarcene.

Con antropocene si intende l’era geologica caratterizzata dall’impatto dell’uomo sul territorio, le risorse e il clima del pianeta. Ma tu usi anche un altro termine.

Sul termine antropocene c’è un grande dibattito. C’è infatti chi preferisce capitalocene, in quanto tale disastroso impatto è sì colpa dell’umanità, ma non di tutta l’umanità, quanto piuttosto di quella caratterizzata dai rapporti di capitale.

Michele Lapini, “Global WarNing”, CHEAP street action, Bologna, via Irnerio
(foto: Michele Lapini | courtesy: Michele Lapini / CHEAP)

Da quanto ti occupi di fotografia?

È stata “colpa” dei miei coinquilini di Firenze. Avevano delle macchinette analogiche, facevano foto, ho pensato di unirmi a loro e da lì ho imparato le tecniche. Dopo la prima laurea ho comprato una digitale e pian piano è diventato un lavoro. Sono sette/otto anni che, tra alti e bassi, vivo con la fotografia.

Fai un milione di cose — dalle foto dei concerti a quelle commerciali — ma mi pare che l’interesse sia soprattutto focalizzato sulle tematiche ambientali, sociali e politiche.

Non me ne importa niente di fare una fotografia “per me”. A volte faccio delle belle foto, che mi piacciono, e poi mi dico «e adesso che me ne faccio?». L’autoreferenzialità, nella fotografia, per me è quasi deleteria. Poi, ovvio, scatto anche foto “non impegnate”, alla natura, in vacanza, a cuor leggero, o a pellicola, con la rilassatezza di potermi guardare i risultati tre mesi dopo e non subito (mentre parliamo sto pure spedendo il servizio che ero a fare poco fa).
C’è una citazione che uso spesso. È di Abbas, un fotografo della Magnum morto l’anno scorso. Diceva che noi fotogiornalisti non cambieremo mai il mondo ma quello che dovremmo fare è far vedere perché il mondo dovrebbe cambiare.
Sono totalmente d’accordo: possiamo far scoprire cose, possiamo sensibilizzare, possiamo cambiare la percezione attorno a fatti e temi.

Michele Lapini, “Global WarNing”, CHEAP street action, Bologna, via Irnerio
(foto: Michele Lapini | courtesy: Michele Lapini / CHEAP)

Che è quello che poi mira a fare Global WarNing.

Mi piacerebbe che da questo attacchinaggio uscisse fuori anche l’importanza di agire, e di farlo, se possibile, collettivamente. Perché sì, è importante anche la scelta individuale ma, finché ci saranno determinate relazioni sociali ed economiche, finché non cambia il sistema, l’ambiente e il clima proseguiranno su questa terribile strada già tracciata con evidenza.

Passiamo alle foto affisse. Come le hai — o le avete — scelte?

Essendoci dieci bacheche si è dovuta per forza fare una selezione. Inizialmente, insieme a CHEAP, pensavamo di inserire solo le foto di Asiago ma poi abbiamo ritenuto che sarebbe stato più efficace puntare non solo su un singolo avvenimento ma su tanti segnali che dovrebbero metterci in allarme.

Michele Lapini, “Global WarNing”, CHEAP street action, Bologna, via Irnerio
(foto: Michele Lapini | courtesy: Michele Lapini / CHEAP)

Credo abbiate fatto la scelta giusta. Sono foto capaci di colpire forte, e sono convinto che invitino ad approfondire. Quindi meglio aver messo più temi, più “fronti”.

Ci sarà Asiago. Ci saranno la cementificazione, la siccità. Ci sarà il riscaldamento globale, con le foto di Bardonecchia, con le strisce di neve bianche sulle seggiovie e le piste mentre tutto il resto è completamente marrone — perché nevica solo dove il turismo vuole.
Poi gli inquinamenti del polo chimico di Ravenna, la raffineria di Viggiano, in Basilicata, dove c’è il giacimento petrolifero più grande dell’Europa Continentale.

Michele Lapini, “Global WarNing”, CHEAP street action, Bologna, via Irnerio
(foto: Michele Lapini | courtesy: Michele Lapini / CHEAP)

In Basilicata? Non ne avevo idea.

Neanche io, prima di andare lì a fare un servizio, otto anni fa, che poi è diventato L’altro amaro lucano.
In ogni affissione c’è il posto e l’anno, una parola chiave, con la definizione da vocabolario, e qualche riga con informazioni e dati. Dati che secondo me fanno molto riflettere. Perché un conto è vedere un cantiere, un conto è sapere che quel cantiere fa parte di un consumo totale di suolo che viaggia a ben 2mq al secondo di terra. Durante la nostra telefonata probabilmente verrà su un capannone di oltre 3000 mq [siamo stati effettivamente al telefono per 28 minuti: 28x60x2=3360mq, ndr].

Michele Lapini, “Global WarNing”, CHEAP street action, Bologna, via Irnerio
(foto: Michele Lapini | courtesy: Michele Lapini / CHEAP)

Come li scegli i luoghi e le situazioni che vai a fotografare? Segui quello che succede o fai ricerche?

Entrambi. Per Asiago, ad esempio, sono partito il giorno dopo la tragedia. Ora però vorrei continuare a seguire la storia, a freddo, guardando anche alle reazioni positive post-disastro, ad esempio l’utilizzo degli alberi caduti.
Quello sul petrolio in Basilicata, invece, è un lavoro frutto di ricerche: quando scopri che la regione più povera d’Italia ha il giacimento più grande d’Europa vuoi andare a vedere e provare a capire perché.

Global WarNing si occupa solo dell’Italia. Come mai questa scelta?

Di progetti su questo tema ce ne sono molti. C’è ad esempio The Anthropocene Project, che è una roba enorme. Ma in Italia, quando si parla di cambiamento climatico, si pensa sempre a nazioni lontane, a deserti, ghiacciai, e invece è un tema che ci riguarda da vicino. Per questo ho deciso di focalizzare l’attenzione solo e soltanto sul nostro paese. Perché finché non si prenderà coscienza che questo cambiamento avviene a un metro da casa nostra, difficilmente sentiremo l’urgenza di muoverci.

Michele Lapini, “Global WarNing”, CHEAP street action, Bologna, via Irnerio
(foto: Michele Lapini | courtesy: Michele Lapini / CHEAP)

Effettivamente quando penso a progetti fotografici del genere, me ne vengono in mente solo di relativi a luoghi “esotici”.

National Geographic ha organizzato una mostra che durerà tre anni. Si chiama Capire il cambiamento climatico e adesso a Milano. Mi hanno invitato a partecipare perché, nonostante ci fossero foto magnifiche, molto più belle delle mie e scattate da autori giganteschi, mancava l’Italia. È divertente perché, se ti capita di andare, vedrai che ci sono tutti i nomi dei fotografi del National Geographic e poi, sotto, “un ringraziamento speciale a Michele Lapini” [ride, ndr].

Michele Lapini, “Global WarNing”, CHEAP street action, Bologna, via Irnerio
(foto: Michele Lapini | courtesy: Michele Lapini / CHEAP)

Chi sono quelli che consideri come Maestri, per quanto riguarda la fotografia? Quelli che apprezzi di più, che credi ti abbiano dato una traccia da seguire.

Faccio molta fatica a rispondere perché non credo di avere uno stile ben preciso. Mi faccio contaminare da tanti. Sulla fotografia sociale, ad esempio, Tano D’Amico è sicuramente un riferimento. Per me rappresenta un fare fotografia in maniera schierata, non distaccata. Credo che la fotografia neutrale non lo sia mai. Anche semplicemente dall’inquadratura, da dove ti metti, da cosa scatti, da quando scatti, consapevolmente o meno stai facendo una scelta e prendendo posizione.
E poi potrei fare mille nomi, da Ferdinando Scianna al mio amico Francesco Pistilli, che ha vinto il World Press Photo per il suo lavoro sui rifugiati a Belgrado.
C’è una quantità di fotografe e fotografi di altissimo livello, in Italia.

Michele Lapini, “Global WarNing”, CHEAP street action, Bologna, via Irnerio
(foto: Michele Lapini | courtesy: Michele Lapini / CHEAP)
Michele Lapini, “Global WarNing”, CHEAP street action, Bologna, via Irnerio
(foto: Michele Lapini | courtesy: Michele Lapini / CHEAP)
Michele Lapini, “Global WarNing”, CHEAP street action, Bologna, via Irnerio
(foto: Michele Lapini | courtesy: Michele Lapini / CHEAP)
Michele Lapini, “Global WarNing”, CHEAP street action, Bologna, via Irnerio
(foto: Michele Lapini | courtesy: Michele Lapini / CHEAP)
Michele Lapini, “Global WarNing”, CHEAP street action, Bologna, via Irnerio
(foto: Michele Lapini | courtesy: Michele Lapini / CHEAP)
Michele Lapini, “Global WarNing”, CHEAP street action, Bologna, via Irnerio
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(foto: Michele Lapini | courtesy: Michele Lapini / CHEAP)
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