Nel 2011 il graphic designer giapponese Sho Shibuya si è trasferito da Tokyo a New York, dove ha fondato, a Brooklyn, lo studio creativo Placeholder.
Entrando nei ritmi e nello stile di vita di un vero newyorkese, Shibuya ha cominciato a frequentare i tantissimi negozi di vicinato della città, i cosiddetti deli, o bodega, dove fare la spesa dell’ultimo minuto, mangiare un panino, compare una bibita, cambiare i contanti.
Da buon designer, Shibuya ha cominciato a notare dei motivi ripetuti sui sacchetti di plastica in cui i negozianti mettevano quel che aveva acquistato: grafiche semplici, “vernacolari”, create da anonimi grafici (ma più spesso da gente che di grafica non sa nulla) di altrettanto anonime aziende e, da buon giapponese, che per cultura sa apprezzare il fascino delle piccole, semplici cose, ha cominciato a collezionare le buste.

(fonte: plasticpaper.co)
«La differenza tra le buste che ricordavo da Tokyo e le buste che ho visto a New York potrebbe essere attribuita ad alcune, peculiari convinzioni, comuni nella cultura giapponese. Esiste un concetto chiamato yaoyoruzu no-kami o otto milioni di dei. Significa che ogni singolo oggetto ha un dio che vive dentro: un chicco di riso, una bacchetta, una goccia d’acqua o persino un sacchetto di plastica. E c’è un secondo concetto, mottainai, che essenzialmente significa che dovremmo amare le cose e che anche se un oggetto invecchia, finché serve al suo scopo, dovrebbe essere tenuto in uso. Da bambino, questi valori mi sono stati instillati con cose come i vestiti fatti a mano, e tali valori mi sono rimasti appiccicati addosso con la mia abitudine di tenermi stretto i sacchetti di plastica. Questo è per dire che i sacchetti di plastica non sono spazzatura per me. Sono arte, anche se inizialmente non erano concepiti come opere d’arte», spiega Shibuya, che ha deciso di pubblicare, attraverso il suo studio, un libro intitolato Plastic Paper.
Un po’ catalogo della sua collezione, messa insieme in otto anni, un po’ libro di grafica, con piccole analisi sui font e sui simboli — quasi sempre inosservati — presenti sulle buste, Plastic Paper è soprattutto un’atipica celebrazione della rinnovata consapevolezza sui pericoli dell’utilizzo degli oggetti di plastica usa-e-getta.

(fonte: plasticpaper.co)
«Non è un segreto che i sacchetti di plastica monouso stiano soffocando le nostre città e il nostro pianeta. Questo libro non vuole essere un esercizio per difendere la plastica superflua; è proprio l’opposto. È un atto di conservazione del design di tutti i giorni e una chiamata a dare maggiore attenzione agli oggetti che usiamo quotidianamente, a riutilizzarli e a sprecare meno, e a trovare felicità e ispirazione nei piccoli atti d’arte e creatività che altrimenti non noteremmo».
In 144 pagine, con foto di Vanessa Granda e Henry Hargreaves, il libro si acquista online, ed è un’edizione limitata di 100 copie.
Coerentemente con lo spirito del progetto, tutto il ricavato dalla vendita del volume andrà a Parley, un’iniziativa per la difesa degli oceani.

(fonte: plasticpaper.co)

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