Nel settembre del 2016, a Varsavia, durante l’annuale conferenza dell’Association Typographique Internationale, che si tiene ogni anno in un paese diverso, Microsoft, Adobe, Apple e Google annunciarono il rilascio della versione 1.8 del formato OpenType, da anni il più utilizzato per i font digitali. Dietro a quel semplice numero 1.8, si preparava in realtà una gigantesca rivoluzione sia per la progettazione che per la fruizione dei caratteri sugli schermi di tutti i dispositivi che utilizziamo: l’introduzione dei cosiddetti font variabili.
Cosa sono i font variabili? Sono quelli che, in un unico file, contengono le informazioni per poter essere rappresentati in molti modi differenti: più pesanti o più snelli, più larghi o più alti, più inclinati, compatti o spezzettati. Per ottenere certi effetti, fino ad appena qualche anno fa, i designer dovevano produrre — e i software caricare — diversi file. Ora ne basta solo uno (per un dimostrazione pratica consiglio questa demo di Microsoft). E le possibilità di sperimentazione sono enormi (per avere un assaggio, qua ci si può divertire un po’).

(fonte: behance.net)
Per type designer e grafici, l’uscita di OpenType 1.8 è stata un po’ come ritrovarsi su un’autostrada tedesca, senza limiti di velocità, dopo aver a lungo viaggiato su una provinciale con il divieto di superare i 90 km/h. Il risultato: una quantità incredibile di lavori che spingono le potenzialità dei font variabili fino ai limiti estremi, come sempre capita quando si apre un nuovo territorio da esplorare e mettere alla prova.
Alcuni dei più interessanti risultati di questo nuovo Far West iper-creativo è raccolto in un libro, On the Road to Variable. The Flexible Future of Typography, pubblicato dall’editore Viction:ary e curato dallo studio tedesco TwoPoints.Net, che si è anche occupato del design del volume.
Sono più di 120 i progetti mostrati tra le pagine di On the Road to Variable, insieme a centinaia di immagini e alcune interviste ai progettisti.

(fonte: behance.net)

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