Il rientro in città non è dei più semplici. Corse, nuotate, libertà, vento. I bambini già rimpiangono le vacanze, a maggior ragione adesso che è appena cominciata la scuola. Ripensano ai luoghi che hanno visitato come bolle-ricordo in cui calarsi durante le ore di lezione non appena la maestra si volta di schiena per scrivere alla lavagna.
Perché, ad essere onesti, la città cosa avrà mai da offrirci di così avventuroso e divertente e magico?
Ma siamo sicuri che poi alla fine sia proprio così?
Di certo è quello che pensa Chester, il protagonista di Nel mio quartiere non succede mai niente, (appena pubblicato da Terre di Mezzo Editore) che vorrebbe vivere in uno abitato da case stregate, animato da cacciatori coraggiosi che inseguono tigri e leoni, e da pirati alla ricerca di tesori nascosti. E ancora, mostri, astronauti, spie con licenza di uccidere e montagne di cui guadagnare la cima.
Di più, questo piccolo libro è avvolto anch’esso da un alone di esotismo temporale perché viene dritto dritto dagli anni ’60 (dei quali è un grande classico, finora inedito in Italia), e di quegli anni conserva la grafica e quell’atmosfera vagamente psichedelica e coloratissima.
L’autrice è Ellen Raskin, americana, illustratrice e scrittrice per l’infanzia, che realizzò decine di opere e che fu insignita nel 1978 della John Newbery Medal — insieme alla Cadelcott Medal uno dei più prestigiosi riconoscimenti per la letteratura d’infanzia negli Stati Uniti.
In questo albo sono i colori a condurci nella storia. Un intensissimo rosso accoglie in sé un albero e la facciata di un palazzo, poi su un giallo altrettanto intenso si staglia il frontespizio, a cui segue un azzurro carico con l’elenco dei nomi ai quali il libro è dedicato (fra cui tutti i bambini del mondo). Ci dispiace Chester Filbert, ma sei l’unico — si specifica — escluso per insostenibile noiosità.
Sì, Chester, proprio il nostro protagonista, seduto sul marciapiede, faccia appesa, nessuna voglia di dirci «Ciao». La città attorno si anima di bambini ma lui rimane pressoché nella stessa posizione: poggia un gomito sul ginocchio, una mano sotto al mento, ci fornisce il suo indirizzo di casa con esattezza monocorde.
Il paesaggio d’un tratto è diventato bianco. Le case sono quinte di un teatro. I personaggi si accendono come luci colorate intermittenti: gialle, rosse, azzurre.
Pagina dopo pagina osserviamo Chester, serafico e sempre nello stesso angolo di marciapiede, raccontarci quello che avviene negli altri quartieri e per sottrazione quello che nel suo non avviene mai.
Il genio della Raskin sta tutto nel gioco dei contrasti. Più Chester si ostina nella sua apatia disillusa più alle sue spalle, e non solo, avvengono fatti eccezionali e buffi che gli farebbero battere il cuore dall’emozione e forse — ma questo non lo confesserebbe mai — lo farebbero correre a casa dallo spavento.
Eppure la sua ostinazione miope non cede, fino all’ultimo, e in conclusione lo vediamo dirigersi — spalle curve — verso il suo condominio più mogio che mai.
Una storia divertentissima e graficamente accattivante, dagli anni ’60 con ironia e candore.