Alessio Sarri: in realtà non mi è mai fregato niente della ceramica!

Con Alessio ci incontriamo nel suo laboratorio a Sesto Fiorentino. È bello vedere le sue incredibili ceramiche colorate e i suoi famosissimi stampi in gesso.
Sarri è probabilmente il più importante ceramista che il mondo del design conosca. È lui che realizza i progetti di designer come Alessandro Mendini, Ettore Sottsass, Matteo Thun, Jasper Morrison, James Irvine, Michele De Lucchi, George Sowden, Nathalie du Pasquier… Ed è sempre lui a collaborare con aziende icone del design come Cappellini, Zanotta, Danese e molte altre. Ma soprattutto è grazie a lui che, già dagli anni Ottanta, i gruppi contestatori del rigore razionalista poterono liberare la ceramica dai suoi limiti espressivi, portandola ai risultati estremi che oggi conosciamo. Per lavorare contro le forme pure e l’intransigente severità cromatica della cultura post-Bauhaus bisognava però forzare i limiti tecnologici della ceramica, per farlo c’era bisogno di un artigiano allo stesso tempo capace di leggere un progetto e in grado trovare soluzioni tecniche innovative.

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Alessio nel suo laboratorio artigianale.
(Foto: Michela Voglino)

Tu sei un artigiano anomalo, hai cominciato presto ad avere un rapporto con il design ma soprattutto con i designer…

Quando finivano le scuole ho sempre lavorato durante i periodi estivi in una piccola azienda di ceramica. Matteo Thun in quel periodo cercava qualcuno che riuscisse a realizzare le prime sperimentazioni del gruppo Memphis. Un signore gli disse «conosco io uno abbastanza grullo da fare queste cose»!
Allora Thun mi contattò e mi diede il progetto di una teiera. Feci un taglia e incolla utilizzando gli stampi che già avevo in fabbrica. Alcune parti le realizzai a lastra, come ad esempio il manico a sezione rettangolare. All’epoca avevo pochissimi mezzi.
Poi con Matteo andammo da un aerografista geniale: riusciva a fare due o tre colori sullo stesso smalto, grazie ad una riserva gommosa che quando veniva data si poteva poi rimuovere lasciando intatto il colore sotto. Risolto il problema della forma e quello del colore era fatta, avevamo tutto!
Quando andai a Milano a portare i pezzi mi trovai in mezzo alla prima mostra di Memphis, quindi nel centro culturale del design negli anni Ottanta. Lì mi si aprì un mondo.

Teiere, Matteo Thun, Memphis, 1982.

Il modo in cui Sottsass guardò le tue ceramiche racconta tanto di lui, ma anche tanto di te…

Con i vasi arrivai all’ultimo momento, pochi minuti prima dell’inaugurazione. Sottsass prese un coperchio, lo girò e disse «le ceramiche, se son fatte bene si vedono da come sono fatte dentro». Per lui non era importante solo il primo impatto, ma anche il dettaglio, la costruzione. L’oggetto è realizzato bene se c’è cura anche dove non si vede.

All’epoca consegnasti per Memphis dei prototipi, dei bellissimi pezzi unici, ma poi la produzione?

Guarda, ancora me lo ricordo, eravamo in macchina io e Thun e lui mi disse «Bene, sei stato bravo. Hai fatto i prototipi, ma ora?». Io gli risposi «Si è fatto uno, si possono fare tutti quegli altri, che problema c’è?». In realtà poi il problema c’è, me ne sono accorto dopo che fare bene un pezzo non è come farne bene trenta, ma all’epoca ero incosciente.

[Qualche secondo di attesa, sorride]

Molto incosciente.

[Ridiamo]

Ho visto la collezione Geology per la prima volta in mostra alla Triennale di Milano. Dietro a questi vasi c’è uno sforzo tecnologico che spesso non viene fuori e che è visibile solo agli addetti ai lavori.

[Alessio ride e dice] Fidati, a volte nemmeno gli addetti ai lavori se ne accorgono.

Questa collezione è composta di centinaia di pezzi. Quanti anni ci hai messo a realizzare un lavoro del genere?

La storia delle Geology inizia nel 1992, all’epoca io e Ettore lavoravamo per un’altra collezione, le Antiche Ceramiche, su commissione della Galleria Jannone. Riuscimmo a fare la mostra, però i pezzi si rompevano. Potemmo farla solo con quei pochissimi oggetti che si erano salvati, ma avviare una produzione, all’epoca, era impossibile. Il problema era che gli elementi erano quasi tutti volumi scatolari molto grandi, quando andavano in forno crepavano o esplodevano.

Quindi un problema di forma e dimensione?

Sì, il rapporto tra grandezza e forma nell’oggetto in ceramica è molto importante, fare una forma di dieci centimetri è diverso che farla di quaranta, la possibilità di incorrere in rotture aumenta esponenzialmente, soprattutto con gli scatolari.
Con Ettore decidemmo allora di fermarci, e nel mentre io avrei pensato ad una possibile soluzione. Dopo tante prove, domande e rapporti con altri artigiani capii che la soluzione era quella di utilizzare un impasto particolare che potevo ottenere con l’aggiunta di un inerte in modo da rendere più refrattaria1 la ceramica, con percentuali che però non ne diminuissero la qualità. Ci vollero sei anni per arrivare a questo, ma dopo si poté cominciare la produzione.

Ettore Sottsass, vaso Gerico della collezione Antiche Ceramiche, 1989. (Ogni vaso di questa collezione ha il nome di una differente città visitata da Sottsass in uno dei suoi molti viaggi).

E questa è la storia della collezione Antiche Ceramiche, esperienza fondamentale per arrivare poi alla Geology.

Ettore mi disse sorridendo «… e visto che sei stato così bravo ora te la faccio ancora più difficile». Mi mandò dieci tavole di acquerelli, erano bellissime, ma rappresentavano dei vasi formati da scatolari così grandi che sembrava impossibile realizzarli in ceramica: arrivavano anche a sessanta centimetri per sessanta! Per la terracotta sono misure fuori da ogni grazia divina! Ogni sera me li guardavo cercando di trovare una soluzione. Attraverso tentativi e qualche idea arrivai dopo sei mesi ad un processo che rendeva possibile realizzare queste forme. [ndr: Il processo ideato è veramente lungo e pieno di tanti accorgimenti tecnici, ve ne parlo in estrema sintesi. L’idea è quella si realizzare scatolari che in sezione sono un terzo pieni, un terzo vuoti e un altro terzo pieni, in modo da avere delle pareti strutturali che evitino rotture in fase di cottura e una parte vuota che permette i movimenti della ceramica nel forno. In fase di essiccazione è stato poi pensato di tenere piene d’aria le parti vuote perché non venissero deformate dal peso.. Dopo una semi asciugatura le lastre vengono bucate così da evitarne lo scoppio durante la cottura.]
Con questo metodo riuscii a realizzare i vasi.
La cosa singolare di questo progetto è il fatto che nel realizzarlo sembra essere tutto assolutamente astratto, produco senza mai vedere il prodotto, ma immaginandolo: ogni oggetto è composto da 6-8 lastre che lavoro singolarmente e che posso montare solo alla fine, cioè quando praticamente chiudo la cassa e mando via.

In questo progetto oltre alla forma c’è anche una cartella colori incredibile.

I colori nei vasi sono quasi un centinaio ma soprattutto le prove sono state tantissime. Mi ricordo quando andai da Ettore con i provini, portai tante scatoline ordinate con i gialli, i rossi, i verdi… Lui disse subito «Dammi a me!», prese le scatoline e le rovesciò tutte sul tavolo, sembrava un bambino nel parco giochi è stato allo stesso tempo emozionante e divertente vederlo lavorare in quel modo.

Ettore Sottsass, Vaso 11 della collezione Geology, 2000.

Chi conosce la ceramica sa che ad esempio è regola assoluta evitare gli spigoli vivi oppure l’utilizzo di ampie superfici piane. Il tuo è un lavoro di forzatura della ceramica, sfidi le sue regole e sperimenti fino a dove si può arrivare.

Io in realtà non me ne sono mai fregato niente della ceramica! [Ridiamo]
Cioè, capiamoci, ci sono sono immerso fino al collo in questo mondo, ma ho dei problemi con la cosiddetta “ceramica artistica”. Esistono ceramisti bravissimi che fanno delle cose che dici «mamma mia, ma come ha fatto?» però a me sembra che loro partano da una fascinazione della materia. È il materiale ad ispirarli, credo, ma non è una critica, è solo un modo diverso di affrontare le cose. Io parto semplicemente dal progetto. Come dici tu “forzo la materia” correggo una terra che già esiste, invento soluzioni, porto il materiale alle estreme conseguenze. Per me la ceramica non è il punto di partenza ma è il mezzo per realizzare un progetto.

Il mondo dell’artigianato vive un periodo di forte crisi, sembra abbia smarrito la strada della ricerca e dell’innovazione. Di questa situazione dai molto la colpa al sistema scolastico, secondo me però qualche colpa ce l’hanno anche gli artigiani…

Ricordo che gli artigiani degli anni Ottanta non hanno mai voluto sapere nulla del design. C’era l’idea che “è andata bene fino ad ora, continuerà ad andare bene”. Io credo che l’artigianato da tempo abbia perso il rapporto con il suo tempo. Eppure, ad esempio, nel Settecento rispondeva alle dinamiche del suo tempo e lo stesso nel secolo successivo.
Dal secondo dopoguerra l’artigianato si è fermato alla riproduzione degli stili del passato, rifiutandosi di affrontare i movimenti culturali del suo tempo. Esiste però anche un problema oggettivo, nel modo moderno e contemporaneo è più complicato stare dietro a tutto, perché quello che una volta durava un secolo, oggi dura pochi anni.
Io credo che l’artigiano dovrebbe sempre mantenere uno spazio di ricerca aperto, soprattutto quando le cose vanno bene, prevedendo che un giorno quella ricerca porterà a qualcosa. Anche se lo sappiamo, è difficile coniugare le due cose.

Progetti appesi, laboratorio di Alessio Sarri.
(Foto: Michela Voglino)

Milano è oggi la capitale del design, cosa vuol dire vederla dal di fuori, dalla periferia?

Io mi definisco un orso, sto qui dentro nella mia tana e va bene così. Negli anni giovanili Firenze è stata il mio punto di riferimento: ero studente ed ebbi la fortuna di vivere il periodo dei Radical, era una cosa che respiravo e che forse capii solo più avanti. Ma avere come insegnante l’architetto Fiumi [componente radical del Gruppo 9999, ndr], andare a ballare allo Space Electronic, avere la possibilità di seguire da vicino aziende come Poltronova mi ha fortemente influenzato.
Oggi il mio riferimento è Milano, ma credo nell’importanza della periferia, le diversità sono una cosa importante, è lì che trovi gli stimoli.

Collabori anche con diversi giovani designer.

Sì, certo, ultimamente ho conosciuto il gruppo Tuorlo Design, erano due studentesse dell’ISIA di Firenze e mi chiesero di collaborare per la realizzazione della loro tesi. Mi sono piaciute molto perché secondo me si sono poste nella maniera giusta, con molta umiltà e voglia di fare ricerca divertendosi. Così è nato un rapporto bello e oggi continuo a produrre i loro progetti in ceramica.

Tuorlo Design Studio, porta candele, Cucchiaio Bugiardo, 2017.

E i vasi che hai fatto esplodere con i petardi? Ammettilo, quanto ti sei divertito a farli?!

[Ride] Questo progetto è un gioco, fatto con i ragazzacci di Analogia Project. Quando vennero da me avevano già fatto delle sperimentazioni, le guardai e dissi «Va bene, si può fare!»
Ci divertimmo molto. Decisi di lavorare con una forma in modo da far venire fuori l’irregolarità dell’esplosione ma mantenendo il rigore formale dei parallelepipedi. Non volevamo che si rompesse tutto il vaso. Per la colorazione abbiamo utilizzato un ingobbio di porcellana colorata messo all’esterno. Ovviamente, per esplodere il vaso deve essere ancora fresco e a seconda del grado di essiccamento della terra il risultato ha effetti diversi. Il petardo deve essere posizionato al centro, possibilmente dritto e poi bisogna sperare che tutto vada bene.

Analogia Project, Booming Vases, 2014

Quanti vasi avete dovuto rompere prima di arrivare ai risultato ottimale?

Diciamo che almeno la metà dei vasi li abbiamo buttati. Figurati che alcuni pezzi di argilla esplosa li ho trovati appiccicati al soffitto…

Grazie Alessio, direi che con l’esplosione della ceramica abbiamo finito.

Dai ti faccio vedere in anteprima il vasone di Mendini… Ah, poi dobbiamo anche svuotare gli stampi che abbiamo colato prima!

Stampi in gesso, laboratorio di Alessio Sarri.
(Foto: Michela Voglino)
Laboratorio di Alessio Sarri.
(Foto: Michela Voglino).
Alessio mostra gli acquerelli di Ettore Sottsass.
(Foto: Michela Voglino).
Matteo Thun, teiera, 1982.
Ettore Sottsass, vaso Gerico della collezione Antiche Ceramiche, 1989. (Dettaglio)
Ettore Sottsass, vaso Babilonia della collezione Antiche Ceramiche, 1989.
Ettore Sottsass, Hsing Alessio Sarri Edizioni, prodotta nel 2017.
James Irvine, lampada Lumoid, 1991.
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